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di Paolo Delgado

Il Dubbio, 23 ottobre 2024

Mentre il decreto sui Paesi sicuri viene discusso, rimangono tensioni e incognite su come le forze giudiziarie risponderanno alle nuove norme. La pretesa di stabilire come è finito il braccio di ferro sul protocollo tra Italia e Albania dopo il dl del governo sui paesi sicuri, passati da 22 a 19, è un po’ assurda. La replica dell’esecutivo alla sentenza che ha imposto il ritorno dei 12 migranti egiziani e bengalesi dall’hot spot costruito in Albania non è una mossa decisiva e finale. Non voleva e non poteva esserlo. In termini pokeristici la si potrebbe definire un rilancio che evita però di andare ai resti, cioè di mettere l’intera posta a disposizione del governo sul tavolo.

Il decreto si limita a passare da norma secondaria, cioè amministrativa, a norma primaria, cioè legge, la lista dei Paesi sicuri. In questo modo i ministri della Giustizia e degli Interni, Nordio e Piantedosi, si dicono certi che la magistratura sia obbligata a applicare la norma primaria salvo ricorrere alla Corte costituzionale ove ritenga che il decreto contravviene alle norme europee, che rivestono valore costituzionale.

Nel decreto non figura invece alcun accenno all’eventuale scippo della competenza in materia, per qualsiasi via inclusi i ricorsi, ai danni dei tribunali e in particolare della Sezione Immigrazione del tribunale di Roma. Il testo è stato certamente concordato con gli uffici legislativi del Quirinale e nella maggioranza ammettono che si è trattato di una trattativa difficile. Altrettanto certamente l’intervento del Colle ha spinto con molta decisione i ministri ad abbassare i toni e a mettere da parte gli assalti all’arma bianca vagheggiati e anzi annunciati alla vigilia. La stessa decisione della premier di rinviare la conferenza stampa convocata per ieri mattina risponde probabilmente anche all’esigenza di evitare un appuntamento nel quale per Giorgia sarebbe stato impossibile evitare toni contundenti nei confronti della magistratura.

Ma nella sostanza la tentazione di andare oltre il passaggio a norma primaria della lista dei Paesi sicuri non c’è mai stata. Significherebbe arrivare a uno scontro istituzionale apocalittico, che vedrebbe inevitabilmente in campo anche il capo dello Stato. Il sottosegretario Mantovano ha minacciato di percorrere quella strada forse senza sbocco con la formula ‘Ulteriori interventi non sono esclusi’ ma è evidente che la premier preferirebbe immensamente non percorrere quella strada e non è affatto detto che sia disposta a un tale azzardo anche qualora i magistrati si rifiutassero di applicare la norma varata per decreto sostenendo che le leggi europee sono ‘gerarchicamente superiori’ come ha già fatto Magistratura democratica.

La formula che propone il governo è una sorta di resa non incondizionata della magistratura competente, che dovrebbe piegarsi alla legge ricorrendo però alla Consulta. Se però la Sezione Immigrazione deciderà di muoversi in altro modo e di ignorare il decreto, cioè se rilancerà ulteriormente sul rilancio del governo, la crisi diventerà ingovernabile o rischierà seriamente di diventarlo.

Di fatto ci sono in campo almeno quattro incognite determinanti. La prima è la posizione di Sergio Mattarella. Il decreto è stato discusso nei dettagli con il Colle ma diplomaticamente il Quirinale faceva sapere lunedì sera che il presidente non avrebbe avuto tempo di leggerlo essendo impegnato nella cena di Stato con l’emiro del Qatar. Mattarella insomma si è tenuto tutte le porte aperte, inclusa l’eventualità di negare la sua firma o di ritardarla per lanciare un segnale preciso o ancora di intervenire con parole ben più puntuali di quelle pronunciate domenica scorsa che in realtà alludevano al conflitto di questi giorni solo molto di striscio.

La seconda incognita è l’Europa. Il ministro Nordio ha affermato che i magistrati di Roma hanno interpretato per così dire a modo loro e in contrasto con il testo la sentenza della Corte di Giustizia Europea. Il protocollo con l’Albania è stato approvato, sostenuto e sponsorizzato dalla presidente della Commissione von der Leyen. Solo l’Europa dunque potrebbe fare chiarezza, specificare l’interpretazione reale della sentenza e così risolvere in un colpo solo la vertenza, avendo il governo dichiarato di voler rispettare la medesima sentenza. Solo che non è affatto detto che l’Europa voglia e, date le lacerazioni interne, possa farlo.

La terza incognita dipende da come deciderà di muoversi il governo in merito ai trasferimenti in Albania. Per ora il decreto è lettera morta. La campanella del nuovo round suonerà solo quando il governo disporrà un ulteriore trasferimento. Il nodo arriverà comunque al pettine prima o poi ma rinviare il momento della verità permettendo così un abbassamento della tensione oggi estrema o scegliere subito lo showdown non sarebbe certo la stessa cosa. L’ultima variabile, quella decisiva, riguarda la reazione dei magistrati di Roma a un eventuale nuova partenza di immigrati per l’Albania. Una nuova sentenza che, ignorando il decreto in nome della prevalenza della legge europea, non convalidasse il trattenimento dei migranti vorrebbe dire dar fuoco alle polveri.