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di Giulio Sensi

Corriere della Sera, 13 febbraio 2023

Aumenta il numero di chi vive in strada o si adatta a soluzioni d’emergenza. I senza dimora concentrati nelle metropoli. FioPsd: “Bisogna superare le politiche emergenziali”. L’impegno del Terzo settore.

Fanno notizia quando muoiono di stenti o di freddo per strada, ma per ogni vita persa ce ne sono migliaia salvate da enti e associazioni che si prendono cura degli invisibili. Roma è la capitale dei senza dimora: quasi un quarto di tutti quelli che in Italia non hanno un tetto sotto cui dormire vivono nell’area metropolitana capitolina. “In città sono circa ottomila - racconta Augusto D’Angelo della Comunità di Sant’Egidio - e un terzo di loro vive nelle strutture del Comune o della rete delle parrocchie e associazioni, un altro terzo dimora in alloggi impropri e di fortuna. Un terzo sta per strada”. Non sono soli, ma stanno aumentando. “Tante cose migliorano - aggiunge D’Angelo - sul versante dei servizi e dell’accoglienza anche grazie a una nuova sensibilità delle amministrazioni e all’aumento del 42 per cento dei posti letto in strutture più piccole e disseminate sul territorio. Negli ultimi cinque anni la Sant’Egidio ha strappato dalla strada, accompagnandole, più di 300 persone. Ma la crisi cronica che stiamo vivendo ne sta spingendo molti altre nella spirale della povertà”.

Non esiste un numero preciso dei senza dimora in Italia: l’ultima stima dell’Istat, datata 2021, è di oltre 96mila, ma nel computo ci sono anche quelli che pur non avendo una abitazione fissa non vivono comunque in condizioni di indigenza e possono tornare ogni sera sotto un tetto dignitoso, magari da parenti, amici o in strutture mobili. Nel 2015, il dato più recente specificatamente dedicato ai senza dimora in condizioni di marginalità, la stima fatta sempre da Istat con il supporto delle associazioni era di oltre 50mila.

Una parte consistente è composta da stranieri con o senza permesso di soggiorno, ma gli italiani sono in forte crescita. “È allarmante - spiega Caterina Cortese, responsabile dell’Osservatorio di FioPsd, la federazione nazionale in cui sono riunite circa 146 realtà che si occupano del fenomeno - l’aumento delle donne in genere e dei giovani problematici fuoriusciti da percorsi istituzionali che hanno perso rapporti con le famiglie di origine. E sta crescendo il numero degli italiani: oltre a quelli che hanno una storia di marginalità risalente nel tempo, c’è un’accelerazione dello scivolamento di nuclei che con la perdita del lavoro e poi della casa si ritrovano per strada”. “La nostra stima - spiega la presidente di FioPsd, Cristina Avonto - è una crescita del 30 per cento rispetto al 2015. C’è una quota di cronicizzati, ma ciò che inquieta è la facilità maggiore con cui si scivola in basso. Assistiamo ad uno sfaldamento delle reti di tenuta: la perdita del lavoro, una malattia, una rottura familiare portano più facilmente le persone per strada. Il reddito di cittadinanza ha permesso a tanti di accedere ad alloggi dignitosi. E la presidente sottolinea: “Certo, è giusto ridiscuterlo, ma ricordandoci che è stato fondamentale per molti”.

Le parole d’ordine delle associazioni sono “housing first”: prima la casa, poi ricostruire una vita dignitosa. I servizi non bastano mai, specie nelle grandi città come Roma e Milano, ma funzionano e danno assistenza insieme alle tante associazioni e ai volontari. L’Italia, a livello nazionale e locale, non è indietro nelle politiche di contrasto al fenomeno, ma a parere delle associazioni serve un cambio di passo e un lavoro di squadra per rendere accessibili le abitazioni. “Rischiamo - aggiunge Avonto - di tornare alle politiche emergenziali. Panini, docce, mense sono importanti, ma non bastano, servono politiche più strutturali e di lungo periodo e il mantenimento dei fondi di contrasto alla povertà che permettono sui territori di fare interventi efficaci”.

Con prezzi di affitto più accessibili almeno una parte del problema si potrebbe risolvere. “Cosa che a Milano - commenta Alessandro Pezzoni di Caritas Ambrosiana - è quasi impossibile. Le abitazioni sono ancora poche, troppo poche, e continua a prevalere l’offerta del solo posto letto. Stiamo lavorando alla costruzione di interventi più ampli per accompagnare le persone, che peraltro vivono spesso condizioni di precaria salute mentale e di dipendenze, a ricostruire la propria vita. Caritas, come molte altre realtà, cerca di fare un lavoro di attivazione della comunità: non vogliamo creare ghetti, ognuno di loro ha certo fragilità, ma anche potenzialità e risorse da mettere in gioco”.

Un’impresa a volte quasi impossibile, che richiede tempi molto lunghi e la riattivazione dei legami sociali. A Bologna Piazza Grande sperimenta l’approccio del lavoro di comunità per costruire un contesto sociale che riaccolga le persone emarginate. Gestisce cento appartamenti e ad oggi ha accolto 73 persone che hanno ritrovato un tetto e una vita grazie al progetto housing first. La presidente della cooperativa sociale, Ilaria Avoni, spiega: “Lavoriamo su due fronti. Da una parte l’empowerment delle persone per cambiare la loro condizione, dall’altra la necessità di andare oltre l’assistenzialismo e il superamento dell’idea del singolo servizio per coinvolgere la comunità. Associazioni e volontari partecipano all’animazione delle strutture, contribuendo a ricostruire una socialità che quando viene meno è spesso una delle cause della perdita di tutto”.