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di Don Mattia Ferrari

La Stampa, 11 agosto 2023

Le richieste d’aiuto dei migranti deportati e bloccati al confine tra Libia e Tunisia: “Empatizzate con noi”. È l’apice della violenza contro le persone che dal Sud del mondo cercano dignità bussando all’Occidente.

“Empatizzate con noi!”: è questo il grido disperato arrivato dall’ultimo video dei migranti deportati dalla Tunisia nel deserto al confine con la Libia. Il movimento sociale dei migranti Refugees in Libya ha raccontato, mostrando i video, che centinaia di persone sono rimaste bloccate per 6 settimane al valico di Ras Ajdir, 174 tra cui 14 bambini, intrappolate in uno spazio di 10 metri per 5 e circondate da filo spinato, mentre in un altro luogo a 2 chilometri sono imprigionate più di 200 persone e altrettante nella vicina Al-Assa. Persone bloccate in condizioni disumane, i bambini costretti a bere acqua di mare. “Aiutateci, stiamo morendo uno dopo l’altro”, gridavano quelle persone nelle scorse settimane. Il loro grido non è stato ascoltato e così molte di loro nel frattempo morte. Secondo Al Jazeera, le vittime sono al momento almeno 27. Tra queste ci sono Fati e la piccola Marie, la cui storia è stata raccontata da La Stampa. Nel pomeriggio di ieri, Refugees in Libya ha riportato che il ministero dell’Interno libico ha annunciato di aver trasferito le 174 persone verso la regione di Al-Assa, affinché vengano rimpatriate nei Paesi d’origine.

Questa violenza brutale è la conseguenza delle politiche europee: il Memorandum siglato il mese scorso tra l’Italia e la Tunisia non contempla il rispetto dei diritti umani, mentre prevede sostegno economico in cambio del contenimento dei migranti. Questa è l’apice della violenza che si scaraventa contro le persone del Sud del mondo che hanno scelto di cercare una vita degna bussando alle porte di quell’Occidente colonizzatore che ha depredato e continua a depredare i popoli più poveri e la natura.

Nelle ultime ore la Tunisia e la Libia hanno annunciato un accordo per risolvere il nodo dei migranti africani deportati alla frontiera fra i due Paesi, in base al quale la Tunisia riprenderebbe in carico un gruppo di 76 uomini, 42 donne e 8 bambini, mentre la Libia si farebbe carico dei restanti 150 migranti. I numeri però non corrispondono a quelli di cui parlano gli attivisti, secondo i quali i deportati sarebbero circa 600. Inoltre la presa in carico da parte della Libia rischia di significare semplicemente trasferimento dal deserto ai lager. Il report Unicef diffuso l’8 agosto ribadisce che in Libia i migranti e i rifugiati continuano a subire violazioni sistematiche dei diritti umani e riferisce che si stima che il 30% della popolazione nei centri di detenzione libici sia costituita da bambini.

Nel mentre aumentano anche le stragi in mare. Nei giorni scorsi si sono verificati almeno 4 naufragi, con un totale di più di 100 vittime. L’ultimo naufragio, avvenuto mercoledì 9 agosto, ha visto annegare 41 persone, di cui 3 bambini. Alarm Phone aveva lanciato l’allarme già venerdì 4 agosto, informando di aver allertato tutte le istituzioni sulla presenza in mare di una ventina di piccole imbarcazioni in pericolo a causa dell’imminente maltempo. La nostra indifferenza uccide. Secondo il Missing Migrants Project dell’Oim sono già oltre 1.800 le persone morte e disperse lungo la rotta quest’anno. Ma il Mediterraneo è solo il secondo più grande cimitero, come ha affermato Papa Francesco domenica scorsa in conferenza stampa: “Il Mediterraneo è un cimitero, ma non è il cimitero più grande. Il cimitero più grande è il nord Africa”.

La nostra colpa è grande, perché siamo noi, con gli accordi siglati con la Libia nel 2017 e poi sempre rinnovati e con quelli siglati con la Tunisia quest’anno, che causiamo questa violenza disumana. Due settimane fa una ragazza di 14 anni del gruppo scout in cui faccio servizio, il Roma 147, avendo saputo dei migranti deportati tra Tunisia e Libia mi ha chiesto: “Com’è possibile che nessuno faccia niente per salvare queste persone? È incredibile che stiamo tollerando tutto ciò!”. La ragazza ha ragione. Se davanti a tutto questo le nostre coscienze si sentono tranquille, significa che sono malate. In effetti il sistema capitalista e patriarcale cerca di addomesticare le nostre coscienze perché ritengano che la felicità stia nei prodotti da acquistare e consumare e nel benessere materiale individuale. Nasce così quella che uno dei maestri ispiratori del Sessantotto, Herbert Marcuse, definiva falsa coscienza. Se la nostra coscienza è questa, allora non ci sarà mai spazio per il grido dei migranti, che resteranno così prigionieri nei lager.

Ma al tempo stesso resteremo intrappolati anche noi, prigionieri di quella falsa coscienza che ci inganna, facendoci spendere la vita nel cercare una felicità consumistica che non riusciamo mai ad afferrare pienamente, perché la nostra vera felicità non sta lì, ma nell’empatia. La prova di questo sta nella gioia che hanno sprigionato i giovani alla Gmg di Lisbona o alle altre esperienze che stanno prendendo corpo in questa estate, come i campi scout, i campi di Libera e tante altre. Nei giorni scorsi, ad esempio, ho avuto il dono di partecipare ad una delle esperienze che costruiscono attivamente un’altra società: il Revolution Camp, il campeggio studentesco organizzato ogni anno a livello nazionale dalla Rete degli studenti e dall’Unione degli universitari. Il campeggio si è svolto nella Fattoria dei Sogni, gestita dalla cooperativa sociale “Al di là dei Sogni” e realizzata nel bene confiscato alla Camorra “Alberto Varone” a Maiano di Sessa Aurunca, nell’alto Casertano. Qui, dove si lotta contro la mafia, migliaia di studenti medi e universitari sono stati insieme e hanno voluto ascoltare tante esperienze, come quelle di Libera, Mediterranea, Spin Time di Roma, Lgbtqia+ e molte altre. Tutte esperienze accomunate dall’amore viscerale che ci porta a lottare e a costruire attivamente, a partire dai nostri corpi e dalle nostre relazioni, un altro mondo possibile, dove la fraternità diventa carne, genera un nuovo paradigma politico e porta alla gioia vera. Occorre decolonizzare corpi e cervelli, come dice Vandana Shiva. La chiave per farlo è quell’empatia che ci libera dalle catene che questo sistema impone ai nostri cuori e alle nostre vite e ci spinge a costruire un’altra società, quella che nei giorni scorsi si è intravista al Revolution Camp e in altre realtà. Ecco allora che il grido dei migranti deportati nel deserto tra Tunisia e Libia, “Empatizzate con noi!”, indica la strada per salvare non solo loro, ma anche noi stessi, tutti. I politici e la società intera abbiano il coraggio di accogliere questo grido, smettano di trattare i migranti come oggetto e riconoscano loro la dignità di soggetti, li evacuino e li trattino come veri interlocutori: solo allora, insieme, animati dall’empatia e dalla fraternità incarnata, troveremo le vie per affrontare l’attuale crisi, costruendo insieme una nuova società, veramente felice, come i ragazzi ci stanno insegnando.