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di Gian Antonio Stella

Corriere della Sera, 4 ottobre 2023

“C’è un esercito invisibile di minori aggregati alla criminalità che crescono convinti che lo scopo della vita sia guadagnare a tutti i costi e che scappare dai percorsi normali di crescita acceleri il percorso verso l’età adulta”. “Se essere bambini-soldato significa appartenere ad un esercito del male come quello della criminalità organizzata questi bambini esistono anche nell’Italia meridionale”. Soprattutto nelle aree più degradate della grande periferia napoletana. Lo disse tempo fa don Tonino Palmese, il parroco di Portici legato a Libera e animatore con Don Maurizio Patriciello e don Luigi Merola dei movimenti anti-camorra partenopei. E non cambia idea: “C’è un esercito invisibile di minori aggregati alla criminalità che crescono convinti che lo scopo della vita sia guadagnare a tutti i costi e che scappare dai percorsi normali di crescita acceleri il percorso verso l’età adulta”.

Sono pericolosi. Sempre ragazzini, però, restano. Come Abu Ubaidah, il “martire cucciolo di Allah” esaltato nel 2014 su Twitter perché morto bambino col mitra in mano in Siria o il figlio dell’arabo-australiano Khaled Sharrouf che pubblicò sui social la foto del figlioletto che reggeva la testa mozzata d’una vittima dell’Isis. O Evariste Ntegeyimana, il ruandese che a 15 anni raccontò nel libro Le ferite del silenzio di Yolande Mukagasana d’essere stato arruolato da uno squadrone Hutu per uccidere i Tutsi: “Quei bambini che hai ammazzato li conoscevi?” “Sì, erano dei vicini. Mangiavano spesso da noi e io da loro”. O i ragazzini di Medellin imbottiti di alcol e droga dai narcos che, scrisse Mario Vargas Llosa, prima di andare a “matare” qualcuno andavano a “prostrarsi ai piedi della Vergine di Sabaneta” e altri bambini spinti a uccidere in Afghanistan, Congo, Iraq, Mali, Birmania, Nigeria, Filippine, Somalia, Sudan, Siria, Yemen...

Certo, la mamma di Giogiò Cutolo, il giovane musicista ucciso un mese fa a Napoli va compresa quando, divorata dal dolore, chiede anche a Mattarella la condanna all’ergastolo per il giovanissimo assassino di suo figlio. Come dice lo stesso don Tonino Palmese, “è una reazione di pancia perché lei dentro la pancia tenne quel bambino che ora le è stato portato via. Come non capire il suo strazio? Lei stessa patirà l’ergastolo: perdere un figlio così è davvero un ergastolo. Ma per quell’assassino adolescente la galera rappresenta il suo primo incontro con lo Stato. Va punito con severità. Perché deve capire lui e devono capire gli altri. Ma il carcere non può che essere l’inizio di un lungo percorso”.