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di Marta Serafini

Corriere della Sera, 2 luglio 2022

Dopo il compromesso sul sì all’ingresso nella Nato, il “sultano” dice di aspettare dalla sola Stoccolma l’estradizione di almeno 73 membri della minoranza indipendentista ricercati in Turchia.

C’è già chi la chiama la lista dei sacrificabili. Nomi e cognomi che il quotidiano turco Hürriyet ha pubblicato e che appartengono agli esponenti curdi che il presidente Recep Tayyip Erdogan vuole in cambio dell’ingresso di Svezia e Finlandia nella Nato. Si inizia dai nomi - 12 dalla Finlandia e 33 dalla Svezia - e si arriva alle sigle. Bülent Kenes, Levent Kenez e Hamza Yalçın, Murat Çetiner, esperto di cyber security, Mehmet Filiz ricercatore universitario. Poi ci sono Sezgin Cirik, Osman Yagmur e Delil Acar, accusati qualche anno fa di aver provato ad appiccare il fuoco davanti l’ambasciata turca ad Helsinki.

Nella lista, ricostruita da Globalist, c’è anche Musa Dogan, attivista condannato in Turchia nel 1993 all’ergastolo per aver partecipato a numerose manifestazioni. Oltre a Mehmet Demir, ex co-sindaco di una città dell’Anatolia del Sud, costretto a fuggire dalla Turchia per le sue origini curde. Poi Burcu Ser, impiegata in una associazione internazionale per i diritti delle donne. Giornalisti, insegnanti, ricercatori, che hanno paura di tornare in Turchia ed essere condannati. E attivisti accusati di far parte del Fetö, il movimento di Fethullah Gülen, ex alleato del presidente turco e oggi considerato dissidente e organizzatore principale del tentato golpe del 2016. O affiliati del Pkk, il Partito dei lavoratori del Kurdistan o, ancora del TKP/ML-TIKKO il partito marxista leninista turco.

Dagli Anni 70, Svezia e Finlandia hanno accolto i curdi in fuga dalle zone di guerra. Nel parlamento svedese sono stati eletti sei deputati curdi, una è Amineh Kakabaveh. Nata nel 1970 nel Rojhilat, il Kurdistan iraniano, ha aderito al movimento guerrigliero marxista-leninista Komala che era ancora un’adolescente. A 19 anni ha cercato rifugio in Svezia: si è laureata mantenendosi come collaboratrice domestica. Fino all’ingresso in parlamento con il Left Party.

Il suo è uno dei nomi che dieci giorni fa l’ambasciatore turco a Stoccolma, Hakki Emre Yunt, ha indicato come prede degli appetiti di Ankara. Un nome poi ritrattato e che non compare nella lista di Hürriyet ma che rende l’idea. Il ministro della Giustizia turco Bekir Bozdag è stato molto preciso nell’affermare che - dopo l’accordo tra Ankara, Helsinki e Stoccolma di Madrid - saranno nuovamente mandate ai Paesi scandinavi le richieste per l’estradizione di 17 membri del Pkk e di 16 affiliati alla rete Fetö. Ma la lista di Hürriyet comprende più nomi. Inoltre nella lista comune dell’Ue delle organizzazioni terroristiche c’è il Partito dei lavoratori curdi (Pkk) ma non ci sono né le due organizzazioni sorelle curde siriane Ypg (Syrian Kurdish People’s Protection Units) e Pyd (Democratic Union Party), né il Fetö o altre sigle. In tutto ciò alla Turchia continua a spettare l’ultima parola sul l’allargamento Nato e difficilmente cederà su questi nomi.

I dubbi - Ma le richieste del ministero della Giustizia turco (33 nomi ricercati da Ankara) non combaciano con i numeri comunicati dal presidente Erdogan, che ha detto di attendere dalla Svezia 73 terroristi. Dichiarazioni che non fanno che aumentare i dubbi su quanto possano effettivamente combaciare le definizioni di terrorismo date in Turchia e in Scandinavia. In questo quadro, la prima ministra svedese Andersson, in difficoltà perché accusata di “svendere” i diritti dei curdi sull’altare della Nato, ha dichiarato che la Svezia continuerà a seguire la legge nazionale e internazionale.