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di Giuseppe Molfese

latribuna.it, 2 marzo 2024

Con sentenza n. 9044 del 13 dicembre 2023-1° marzo 2024, la prima sezione penale della Corte di Cassazione ha ricordato che la circolare del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria n. 8845 del 16 novembre 2011 (e, in seguito, l’analoga circolare del 2 ottobre 2017), emessa con riferimento ai detenuti sottoposti al regime di cui all’art. 41-bis Ord. pen., dispone che qualsiasi tipo di stampa autorizzata (quotidiani, riviste, libri) deve essere acquistato esclusivamente nell’ambito dell’istituto penitenziario tramite l’impresa di mantenimento ovvero direttamente in libreria tramite personale delegato dai Direttori degli Istituti Penitenziari; parimenti, eventuali abbonamenti a giornali e riviste autorizzate dovranno essere sottoscritti direttamente dalla Direzione o dall’impresa di mantenimento per la successiva distribuzione ai detenuti che ne abbiano fatto richiesta. Viene vietato anche l’ingresso di libri o riviste ricevuti dall’esterno dai familiari anche tramite pacco colloquio o postale. Viene fatto divieto di consegnare tale materiale all’esterno.

La Circolare ribadisce la necessità di evitare scambi di riviste o libri tra detenuti appartenenti a diversi gruppi di socialità. In linea generale, anche la potestà di normazione secondaria dell’autorità amministrativa si deve inserire nella prospettiva di un equilibrio tra i valori in campo. Peraltro la categoria dei detenuti soggetti al regime previsto dall’art. 41-bis Ord. pen., si segnala, per i presupposti stessi di tale sottoposizione (sempre ricorribile al Magistrato), per aspetti di particolare pericolosità, trattandosi di persone inquisite o condannate per gravissimi reati legati alla criminalità organizzata.

Ciò posto, deve aggiungersi la considerazione, derivante dalla pluriennale esperienza delle concrete vicende di tale specifico settore, che libri, giornali e stampa in genere siano molto spesso usati dai ristretti quali veicoli per comunicare illecitamente con l’esterno, così ricevendo o inviando messaggi in codice (ma anche in chiaro: come conoscere i fatti criminali riportati dai giornali specie del territorio di provenienza) che da un lato non interrompono (ma possono anche alimentare) le comunicazioni di tipo criminale, dall’altro costituiscono concreti pericoli per l’ordine interno degli istituti.

Sul punto va rammentato che la Corte Costituzionale, con sentenza n. 122 del 2017 ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 41-bis, comma 2-quater, lett. a) e c), della legge n. 354 del 1975 - in riferimento agli artt. 21, 33 e 34 Cost. - nella parte in cui, secondo il “diritto vivente”, consente all’amministrazione penitenziaria (anziché nei singoli casi all’autorità giudiziaria, nelle forme e in base ai presupposti di cui all’art. 18-ter Ord. Pen.) di adottare, nei confronti dei detenuti in regime speciale, il divieto di ricevere dall’esterno e di spedire all’esterno libri e riviste a stampa.

Ciò perché l’adozione di tale misura non viola la libertà di manifestazione del pensiero (intesa nel suo significato passivo di diritto di essere informati) né il diritto allo studio, poiché non limita il diritto dei detenuti in regime speciale a ricevere e a tenere con sé le pubblicazioni di propria scelta, ma incide soltanto sulle modalità attraverso le quali dette pubblicazioni possono essere acquisite, imponendo di servirsi esclusivamente del carcere, onde evitare che il libro o la rivista si trasformi in un veicolo di comunicazioni occulte con l’esterno, di problematica rilevazione da parte del personale addetto al controllo.

Né gli eventuali inconvenienti che potrebbero derivare dalla “burocratizzazione” del canale di acquisizione delle pubblicazioni compromettono in misura costituzionalmente apprezzabile i diritti in questione, trovando in ogni caso ragionevole giustificazione alla luce delle esigenze poste a base del regime speciale. Ovviamente, in ordine al diritto dei detenuti di conoscere liberamente le manifestazioni di pensiero che circolano nella società esterna, la sua tutela - tanto costituzionale (art. 21 Cost.) quanto legislativa (artt. 18, sesto comma, e 18-ter, comma 1, lett. a, Ord. pen.) - è riferita alla facoltà del detenuto di scegliere con piena libertà i testi con i quali informarsi, senza che l’autorità amministrativa possa esercitare su di essi una censura.

Tanto premesso e considerato che i libri sono stati acquistati all’interno dell’istituto ove è ristretto il detenuto, il provvedimento impugnato non ha spiegato (se non in modo apodittico) le concrete e specifiche ragioni per le quali, dall’utilizzo di essi, deriverebbe un concreto pericolo per l’ordine e la sicurezza pubblica avendo soltanto effettuato un generico riferimento alla possibilità di acquisire informazioni e notizie sulle vicende trattate che potrebbero essere utilizzate per elaborare strategie ed impartire disposizioni nell’ambito del contesto mafioso di appartenenza senza alcuna specifica indicazione al riguardo, considerato anche lo speciale regime al quale è sottoposto l’uomo. In sostanza, nella materia de qua la norma regolamentare deve essere meramente attuativa delle restrizioni previste dalla legge e dal provvedimento ministeriale e non deve imporre limitazioni che appaiano inutili rispetto allo scopo del regime detentivo speciale e quindi la circolare sopra citata non può diventare strumento di negazione di fatto del diritto (Cass. pen., sez. I, 17 febbraio 2015, n. 6889).