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di Dario Ferrara

Italia Oggi, 1 agosto 2023

L’esecuzione del mandato d’arresto europeo non può andare a discapito dei diritti fondamentali della persona interessata. Lo ha ribadito la Corte costituzionale con le sentenze 177/2023 e 178/2023 con le quali sono stati decisi due giudizi nei quali la Corte aveva promosso altrettanti rinvii pregiudiziali alla Corte di giustizia dell’Unione.

I giudizi riguardavano profili differenti della disciplina del mandato d’arresto europeo. Il primo caso, si legge in una nota della Consulta, riguardava un cittadino italiano con gravi disturbi psichici, la cui consegna era stata richiesta da un tribunale croato, che intendeva sottoporlo a processo per detenzione e spaccio di stupefacenti. La Corte d’appello di Milano aveva chiesto che fosse dichiarata incostituzionale la mancata previsione della possibilità di rifiutare la consegna di una persona affetta da patologie croniche di durata indeterminabile, incompatibili con la custodia cautelare in carcere.

Con l’ordinanza 216/2021, la Corte costituzionale aveva a sua volta investito della questione la Corte di giustizia dell’Unione, la quale ha fornito la propria risposta con la sentenza E. D.L. del 18 aprile 2023. Stabilendo che, in ipotesi eccezionali di grave rischio per la salute della persona, i giudici che ricevono la richiesta devono sollecitare le autorità giudiziarie dello Stato richiedente a trasmettere informazioni sulle condizioni nelle quali la persona verrà detenuta o ospitata, in modo da assicurare adeguata tutela alla sua salute, eventualmente anche collocandola in una struttura non carceraria. Soltanto nell’ipotesi in cui le interlocuzioni non consentano di individuare una simile soluzione, l’esecuzione del mandato d’arresto potrà essere rifiutata.

Alla luce di queste indicazioni, la Corte costituzionale ha giudicato non fondata la questione sollevata dalla Corte d’appello, ritenendo che il meccanismo configurato dai giudici di Lussemburgo sia idoneo a fornire adeguata tutela al diritto fondamentale alla salute. Nel secondo caso, l’autorità giudiziaria rumena aveva richiesto all’Italia la consegna di un cittadino moldavo per reati di evasione fiscale. La persona in questione, tuttavia, era da tempo radicata in Italia, dove aveva significativi legami lavorativi, sociali e familiari.

La Corte d’appello di Bologna aveva pertanto chiesto che fosse dichiarata incostituzionale la mancata previsione della possibilità di rifiutare la consegna di un cittadino di uno Stato non appartenente all’Unione europea, ma stabilmente radicato nel territorio italiano, per consentirgli di scontare la sua pena in Italia. Con l’ordinanza n. 217 del 2021, la Corte costituzionale aveva, anche qui, sottoposto il quesito alla Corte di giustizia, la quale con sentenza O.G. del 6 giugno 2023 ha stabilito l’incompatibilità con il principio di uguaglianza davanti alla legge di una normativa che discrimini il cittadino extracomunitario dal cittadino di un paese dell’Unione, escludendo in modo assoluto e automatico che possa essere rifiutata l’esecuzione di un mandato d’arresto europeo in situazioni come quella all’esame.

Sulla base di questa sentenza la Corte costituzionale ha dichiarato illegittimo l’art. 18-bis della legge n. 69 del 2005, che disciplina nell’ordinamento italiano il mandato d’arresto europeo, “nella parte in cui non prevede che la corte d’appello possa rifiutare la consegna di una persona ricercata cittadina di uno Stato terzo, che legittimamente ed effettivamente abbia residenza o dimora nel territorio italiano”, alle condizioni precisate dalla Corte di giustizia, affinché possa scontare la propria pena in Italia, per favorirne il reinserimento sociale.