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di Vanessa Roghi

La Repubblica, 12 luglio 2023

Nel 1923 iniziava negli Stati Uniti la cultura contro i consumatori di droghe: la scienza ne ha dimostrato i danni, ma i messaggi colpevolisti e sbagliati continuano. Anche da parte del governo italiano. Secondo lo storico statunitense David T. Courtwright, il 1923 può essere considerato a tutti gli effetti l’anno in cui viene inaugurata quella cultura proibizionista sulle droghe che oggi, malgrado un secolo di evidenze scientifiche che dimostrano quanto male abbia fatto, torna a manifestarsi nelle parole dei nostri governanti e dei loro supporter.

Un proibizionismo che individua nel “drogato” sempre e comunque un soggetto da punire, un deviante e nelle droghe un’unica, indistinta, sineddoche del male. Un’idea che si sta frantumando pressoché ovunque nel mondo democratico, ma che torna con forza a diffondersi in Italia, per questioni ideologiche ma probabilmente anche per un preciso disegno politico-economico i cui contorni sono per ora comprensibili solo a chi, di questa vicenda, conosce un po’ di storia.

Nel XIX secolo l’uso di sostanze era un fatto privato così la cura. Agli inizi del XX secolo, proprio come oggi, negli Usa l’allarme cresce intorno all’abuso di farmaci derivati dall’oppio dai quali sono dipendenti circa 300mila persone, un fenomeno sociale di dimensioni rilevanti a tal punto da spingere i diversi governi a intraprendere le prime forme di rehab. Riprende lo spirito americano la legge italiana del 1954, assai dura con i consumatori. Tuttavia, il fatto che esista una Costituzione democratica che vede, fra i diritti fondamentali, il diritto alla salute, fa sì che, negli stessi anni, la parola devianza venga messa radicalmente in discussione. L’idea di devianza, infatti, stabilisce un confine fra esseri umani che, prima di essere sociale, è biologico: chi devia dalla norma non solo deve essere posto nelle condizioni di non nuocere alla società ma negato come individuo perché corrotto. Il deviante, per legge, va in carcere o in manicomio fino a quando non torni a essere “normale”. Ma nessuna cura è possibile tra le mura di una prigione o di un ospedale psichiatrico, se ne accorge molto presto Franco Basaglia e chi, come lui, pensa che il concetto di devianza non solo sia infungibile in un moderno stato democratico ma che sia anche dannoso rispetto all’obiettivo di cura che ipocritamente sottintende. Per questo cambio di paradigma si arriva alle riforme degli anni Settanta che in pochi anni stabiliscono che tossicodipendenza (1975) e malattia mentale (1978) debbano essere viste entro una prospettiva di diritto alla salute gratuito e universale per tutti, e non a caso nasce il servizio sanitario nazionale (Legge 23 dicembre 1978, n. 833).

Da allora la battaglia politica e culturale ha costantemente oscillato fra chi pensa che la dipendenza patologica debba essere gestita entro il quadro del diritto alla salute, pubblico e universale e chi, invece, continua a pensare al consumo di sostanze come un’attività criminosa e criminogena da reprimere con la reclusione. Consumo verso il quale i giovani sarebbero indirizzati dalle stesse campagne antiproibizioniste o dalle serie tv (vedi intervento di Giorgia Meloni il 26 giugno). Per rispondere all’assalto delle piattaforme che, secondo la premier, beatificano gli spacciatori, è stato lanciato lo spot nel quale il ct della nazionale di calcio, Roberto Mancini dice: ragazzi non drogatevi, tutte le droghe fanno male allo stesso modo.

Eppure, secondo quanto dicono gli operatori del settore, quello che chiedono i ragazzi e le ragazze è esattamente il contrario: adulti che parlino con loro seriamente dei rischi connessi all’assunzione delle diverse droghe. Perché non educare a distinguere è pericolosissimo. Ma chi ha l’immensa responsabilità di prendere decisioni su questo tema non se ne rende conto. O forse se ne rende conto benissimo e sta facendo leva sul panico morale per creare un allarme sociale intorno alla diffusione della cannabis funzionale, in realtà, al definitivo colpo di grazia al sistema di cura pubblico in favore di una privatizzazione totale dei servizi.

L’abbiamo già visto, lo vedremo di nuovo. Per questo occorre essere attenti e non farsi intimidire (citazione di Meloni) da chi, peraltro, rivendica un passato di opposizione su questi temi e afferma di non avere alcuna responsabilità rispetto a quanto accade oggi: la peggiore legge della storia italiana in tema di sostanze, peggiore al punto da essere stata dichiarata incostituzionale, l’ha fatta un governo di centro destra dove stava anche il partito della premier Giorgia Meloni. Legge Fini Giovanardi, 2006, III governo Berlusconi. Un disastro i cui danno sono ancora sotto i nostri occhi. Altro che serie Tv.