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di Assia Neumann Dayan

La Stampa, 8 settembre 2023

Il sistema ha fallito. Prendere atto che in Italia la politica, la magistratura, le forze dell’ordine abbiano fallito sarebbe già un po’ meno di niente. Non trovo una spiegazione al fatto che una donna che denuncia, anche più volte, l’ex marito o compagno per atti persecutori, abusi o violenze o qualunque altro reato, finisca per essere ammazzata. Marisa Leo è vittima, l’ennesima, di un uomo. Marisa Leo è vittima, l’ennesima, di un uomo che lei aveva già denunciato. Marisa Leo è vittima, l’ennesima, di questo fallimento. La figlia di Marisa Leo è vittima, l’ennesima, di un uomo e di un sistema che ha fallito. Qualcuno deve prendersi la responsabilità di questo fallimento e dire alla figlia di tre anni di Marisa Leo, e a tutte le donne, e a tutti gli orfani che i femminicidi creano, che questo sistema finisce qui, un sistema dove il meccanismo della denuncia a un certo punto diventa niente. C’è la sottovalutazione del rischio, l’incapacità di tutelare le donne, una burocrazia che non protegge nessuno. Continuare a sentirsi dire che bisogna denunciare quando poi apriamo il giornale e leggiamo di una donna morta ammazzata è avvilente.

Marisa Leo nel 2020 aveva denunciato il suo assassino per stalking e poi per violazione degli obblighi di assistenza familiare. Insieme avevano avuto una bambina. Marisa Leo era una donna che lavorava, si occupava del marketing della cantina vitivinicola sociale “Colomba bianca”, era una professionista realizzata. Marisa Leo aveva 39 anni, una figlia piccola, un lavoro di responsabilità, e il suo corpo è stato ritrovato senza vita nell’azienda di famiglia. Aveva acconsentito a un appuntamento con l’ex compagno, e questi incontri quasi sempre rappresentano l’ultimo momento da vive. Gli ultimi appuntamenti che portano all’omicidio hanno due dati di fatto: nessuna donna va a suicidarsi, e tutti gli uomini vanno per uccidere. In Italia dall’inizio del 2023 sono 79 le donne ammazzate dagli uomini: sono molte le persone che dicono che i femminicidi non sono una strage né un’emergenza, e che i reati sono diminuiti. Per quanto mi riguarda, fosse anche una sola la vittima sarebbe troppo. Quando una donna viene uccisa dal compagno lo strazio si moltiplica, infetta le famiglie, i genitori, i figli rimasti orfani, è un dolore che fa morire la società civile, è un dolore che moltiplica la rabbia perché quelle donne erano andate a denunciare. Nelle ultime settimane sui giornali abbiamo letto delle storie di violenza, anche su delle bambine, che dovrebbero farci pensare a quanto fallimento siamo in grado di sopportare. Quello che so è che bisognerebbe fare in modo che una donna venga protetta se denuncia, che le forze dell’ordine non dovrebbero sottovalutare i rischi, bisognerebbe finanziare centri antiviolenza. Il femminicidio è un omicidio, è un reato che dovrebbe portare dritti all’ergastolo; poi possiamo parlare quanto vogliamo del fatto culturale, dell’educazione, del patriarcato, ma i fatti culturali non si risolvono in un quarto d’ora, e le donne muoiono, ieri, oggi, domani.

Io vorrei che qualcuno mi dicesse che le pene sono certe, che se denuncio un uomo per atti persecutori quell’uomo non può avvicinarsi a me e se lo fa va in carcere. Ogni storia, ogni vita è diversa, ma queste storie hanno sempre lo stesso finale. Negli Stati Uniti la stampa evita di ribattere il nome dei responsabili di mass shooting (stragi fatte con armi da fuoco, come quelle nelle scuole); infatti, nessuno di noi si ricorda come si chiamavano i responsabili della strage di Columbine, ma tutti abbiamo presente cos’è stato Columbine. Non so se è giusto, ma io il nome dell’assassino di Marisa Leo non voglio scriverlo. Voglio ricordare i nomi delle vittime, e soprattutto vorrei che questi nomi se li ricordassero quelli che sono pagati per far funzionare un sistema.