Ristretti Orizzonti, 6 maggio 2025
La Conferenza dei Garanti territoriali delle persone private della libertà si è riunita ieri in assemblea a Roma, nella sede della Conferenza dei presidenti delle assemblee legislative delle regioni e delle province autonome, con la partecipazione del Presidente del Dipartimento di Giustizia minorile e di comunità, Antonio Sangermano. La Conferenza ha approvato un documento di dura critica al decreto-legge sicurezza, che rischia di aggravare la situazione di sovraffollamento nelle carceri e di alimentare tensioni tra i detenuti e gli operatori.
Nel corso dell’assemblea, il Portavoce della Conferenza, il Garante della Campania, Samuele Ciambriello, ha comunicato di aver inviato una lettera al Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, per chiedere un incontro, per poter riferire le preoccupazioni e le proposte dei Garanti territoriali.
“La Conferenza dei Garanti territoriali delle persone private della libertà personale - si legge nel documento - ritenendo che tale Decreto sicurezza sia peggiorativo delle condizioni detentive degli Istituti penitenziari per i motivi sopra illustrati, continuerà a stimolare ulteriormente il dibattito pubblico sul tema del carcere, affinché si possa costruire un consenso parlamentare trasversale per introdurre, con urgenza, provvedimenti concretamente e immediatamente deflattivi del sovraffollamento, di indulto, affinché si possa ridare dignità alle persone detenute e coltivare, concretamente, percorsi di speranza. Dentro il carcere - concludono i Garanti - e fuori dal carcere”.
I Garanti territoriali delle persone private della libertà contro il Decreto sicurezza
La Conferenza dei Garanti territoriali delle persone private della libertà esprime grande preoccupazione a fronte della repentina emanazione del DL n. 48 del 2025 (cd. DL sicurezza) che non fa altro che recepire i medesimi contenuti - riproponendone, come è stato efficacemente detto, solo un mero restyling estetico - del precedente DDL (AC 1660), già oggetto di aspre critiche da parte della Comunità dei Garanti.
Da un punto di vista del metodo, la Comunità dei Garanti si unisce a quanto già evidenziato dall’Unione delle Camere Penali, dall’ANM e da più di 250 Professori e Professoresse giuspubblicistici e da diverse Associazioni impegnate nella promozione della cultura democratica e della tutale dei diritti inviolabili delle persone. Attraverso la decretazione di urgenza, questo Governo è riuscito a sottrarre alla democratica dialettica parlamentare la discussione di misure normative che incidono in modo profondo sul contenuto e sulle modalità di esercizio delle libertà fondamentali di ciascuna persona, in primis sul diritto ad esprimere dissenso, la critica, che rappresenta la linfa vitale di ogni società realmente democratica. Lo dimostra, evidentemente, il richiamo forzato a generiche motivazioni di necessità e urgenza che dovrebbero giustificare la scelta di intervenire con la decretazione di urgenza: un richiamo che appare prettamente stilistico e strumentale, in violazione di quanto specificato dall’art. 77 della Costituzione italiana, come interpretato nel corso del tempo dalla copiosa giurisprudenza della Corte costituzionale.
Preoccupa, poi, il contenuto estremamente eterogeneo del provvedimento introdotto, che replica una tecnica normativa che mal si concilia con i principi costituzionali di proporzionalità, ragionevolezza, offensività e tassatività a cui è tenuto ad attenersi il Legislatore in materia penale. Proprio con riguardo al contenuto, tale Decreto suscita in noi scetticismo e un grido di allarme. Ancora una volta, ci troviamo costretti a esprimere la nostra più convinta critica nei confronti dell’abuso della sanzione penale - per lo più detentiva - come panacea di ogni “male sociale”, indice di una pericolosa deriva securitaria della nostra Forma di Stato.
Il ricorso con troppo facilità allo strumento penale, infatti, impedisce al nostro Paese di riflettere a 360 gradi sulle cause di questa dominante sensazione di insicurezza sociale (più apparente che reale, come i dati statistici dimostrano) che forse dovrebbe essere decifrato attraverso categorie giuridiche diverse da quelle penalistiche e affrontata con ben più consistenti misure educative, sociali ed economiche.
Ciò appare ancor più vero se si considerano i destinatari delle numerose ipotesi di reato/aggravanti di reato: attraverso questo Decreto, infatti, si intende colpire non solo il dissenso, ma anche la marginalità sociale e la vulnerabilità degli “ultimi tra gli ultimi”, dimostrando di voler assecondare quella logica, sempre più dominante, da qualche anno a questa parte, secondo cui “a minor Stato sociale corrisponde più stato penale”. È evidente dunque che questo Decreto incarna una visione securitaria della società, contrapposta a quella definita dagli articoli 2 e 3 della Costituzione italiana, che pone al centro, la persona umana nelle sue istanze di dignità, libertà e uguaglianza.
Facendo appello ai valori costituzionali e democratici, in cui si riflette il mandato dei Garanti dei diritti delle persone private della libertà personale, ci troviamo ancora una volta a ribadire che il carcere, in un sistema democratico, non può essere la risposta al dissenso, al disagio sociale. Per tale motivo riteniamo tale Decreto irragionevole. Esso non avrà altro effetto se non quello di fare aumentare la popolazione carceraria, con ulteriore aggravio del fenomeno del sovraffollamento e con il definitivo collasso di strutture già allo stremo, come denunciano i quasi quotidiani suicidi, giunti oramai al numero di ventisei dall’inizio dell’anno.
Anche le misure normative relative alle condizioni detentive risultano, infatti, di dubbia costituzionalità, in quanto volte a limitare, in carcere, quel “residuo” di dignità e libertà, costituzionalmente protetto, delle persone ristrette.
Eclatante, avendo ben presente la drammatica fotografia in bianco e nero della realtà carceraria, è quanto previsto dalle norme del Decreto che mirano a sanzionare, al pari della rivolta - genericamente definita - e della resistenza medianti atti di violenza o minaccia, anche “le condotte di resistenza passiva” negli istituti penitenziari (art. 26) o nei centri di trattenimento dei migranti (art. 27), in palese violazione dell’art. 21 Cost. Il Legislatore, infatti, per di più con una definizione generica, indefinita e non tassativa (e dunque illegittimamente), finisce per punire ogni forma di protesta pacifica e legittima (quali, ad esempio la battitura del blindo, lo sciopero della fame o delle terapie, il non dare seguito all’ordine di rientrare in cella, messe in atto anche in forma collettiva etc..).
Condotte, queste, che le persone detenute pongono in essere spesso per esprimere il proprio malessere, disagio psichico o per segnalare l’inerzia protratta dell’Amministrazione penitenziaria a fronte di richieste legittime, che rimangono per troppo tempo inevase.
Ma non solo. Ogni forma di dissenso - posta in essere in forma di rivolta, di resistenza attiva o violenza o anche solo passiva - sarà ulteriormente e irragionevolmente punito, in quanto ai sensi dell’art. 34, si estende alle persone detenute, autori di tali condotte, il regime del 4 bis o.p. e dunque, un regime restrittivo rispetto alla concessione dei benefici penitenziari. Ciò in controtendenza rispetto alla necessità (e all’urgenza) di umanizzare la pena detentiva come più volte ribadito dai Giudici della Corte costituzionale. Così come solo in minima parte il Governo ha recepito i rilievi posti dal Presidente della Repubblica in merito alla condizione delle donne madri detenute.
Infatti, se con il disegno di legge cd. Sicurezza si voleva abrogare l’obbligatorietà del differimento della pena detentiva per le donne incinta o donne madri di un bambino con meno di un anno di età, il Decreto-legge prevede, per tali categorie, il rinvio facoltativo dell’esecuzione della pena. Inoltre, introduce la possibilità di rinvio facoltativo anche per madri di prole di età superiore a un anno e inferiore a tre anni.
Si prevede inoltre che il differimento della pena detentiva sia revocato nel caso in cui la madre ponga in essere un grave pregiudizio alla crescita del minore (tra l’altro senza specificare né quale Autorità possa valutare tale comportamento né la procedura attivabile) e si stabilisce che l’esecuzione della pena non possa comunque essere differita se dal rinvio deriva una situazione di pericolo, di eccezionale rilevanza, di commissione di ulteriori delitti. In tali casi, il Decreto prevede comunque che queste donne, con i bambini al seguito scontino la pena presso un Istituto a custodia attenuata per detenute madri (Icam). Ma non solo. In caso di evasione o in caso di condotte che compromettono l’ordine o la sicurezza pubblica o dell’Icam si prevede che la donna sia condotta in un istituto penitenziario da sola o con il bambino al seguito. È evidente dunque che tale previsione non fuga del tutto il dubbio di legittimità costituzionale di tale norma rispetto all’art. 31 Cost. e rispetto altresì all’art. 117 Cost, I comma, e al principio, di derivazione internazionale, del “the best interest of the child”.
In costanza dell’ingravescente fenomeno dei suicidi, del livello di sovraffollamento tornato a destare preoccupazione, tutto ciò appare agli occhi della Comunità dei Garanti territoriali francamente inaccettabile.
La Conferenza dei Garanti territoriali delle persone private della libertà personale, ritenendo che tale Decreto sicurezza sia peggiorativo delle condizioni detentive degli Istituti penitenziari per i motivi sopra illustrati, continuerà a stimolare ulteriormente il dibattito pubblico sul tema del carcere, affinché si possa costruire un consenso parlamentare trasversale per introdurre, con urgenza, provvedimenti concretamente e immediatamente deflattivi del sovraffollamento, di indulto, affinché si possa ridare dignità alle persone detenute e coltivare, concretamente, percorsi di speranza. Dentro il carcere e fuori dal carcere. Solo così potremo creare società davvero sicure.
La Conferenza dei Garanti territoriali delle persone private della libertà










