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di Valentina D’Orazio

Corriere della Sera, 8 dicembre 2023

I racconti di chi fa i conti con la dipendenza di un familiare: “Anche la nostra vita è distrutta”. L’andirivieni da Treviglio alle piazze dello spaccio milanese: “In una settimana lo stipendio era prosciugato. Ma dopo la denuncia, grazie alla comunità, il passato buio è alle spalle”. Delle porte in legno della cucina non rimane quasi nulla, distrutte in un momento di rabbia. I mattoncini Lego rossi e neri che Filippo usava da bambino sono finiti sull’asfalto, lanciati dal terzo piano dopo un altro litigio con i suoi genitori. Papà Piero è sceso e li ha raccolti uno per uno per rimontare la costruzione di suo figlio. La droga non consuma solo la vita di chi la usa ma anche quella dei genitori, dei fratelli e degli affetti più cari. Sono loro le vittime invisibili di cui nessuno parla ma la tossicodipendenza è anche questo: case distrutte, famiglie demolite, vite che si fermano.

Sono le 10 di mattina. C’è anche Filippo nella stanza della Comunità Aga (Associazione genitori antidroga) di Treviglio, struttura per la cura delle tossicodipendenze. È solare, sorride. Lo sguardo di mamma Patrizia lo segue mentre se ne va e poi, con gli occhi orgogliosi, esclama: “Mio figlio è tornato!”.

Non è facile raccontare quello che accade in casa di chi vive con un tossicodipendente. La droga entra silenziosa, si impadronisce dei legami e ruba gli affetti più cari. Milano è vicina, ed è una “piazza” pesante per chi cerca la droga. “Speri sempre che sia qualcosa di passeggero, che con il tempo si aggiusterà”. E invece Piero e Patrizia hanno visto loro figlio diventare un altro. Insieme alla sua vita, anche la loro stava cambiando: “Ti alzavi al mattino, speravi che arrivasse subito la sera per andare a letto e che non fosse successo niente di brutto. Non esistevamo più: vivevamo la nostra vita in funzione di tutto quello che faceva”.

Durante il periodo più difficile, da maggio 2020 a luglio 2021, Patrizia confida di essersi annullata al punto tale da non ricordare più nulla. Piero, invece, aveva ben altro in mente quando, non appena tornato a casa da lavoro, andava a controllare se la macchina fosse nel garage. “In una settimana lo stipendio era andato. Una volta ho dovuto buttare mio figlio a terra, davanti alla porta di casa, per non farlo uscire. Certe volte ci riesci ma non sempre ce la fai. La paura non era soltanto per lui; se avesse fatto del male a qualcuno, non ce lo saremmo mai perdonati”.

Filippo non è figlio unico; ha una sorella di 7 anni più piccola e anche lei ha vissuto il dramma con i suoi genitori. Non dormiva più, non usciva, non invitava più amiche a casa. Patrizia non trattiene le lacrime quando pensa al momento in cui ha chiesto a sua figlia se volesse trasferirsi da una zia, per avere un clima più sereno.

La Relazione annuale sul fenomeno delle tossicodipendenze 2023 conferma: la cocaina è tra le droghe più consumate in Italia. Nel 2022 sono state mezzo milione le persone tra i 18 e gli 84 anni ad averne fatto uso. “La droga è un tappo al vuoto esistenziale che i ragazzi vivono”, sostiene lo psichiatra Leonardo Mendolicchio che si è a lungo occupato di disturbi e dipendenze tra gli adolescenti. “Per arrivare a maturare un cambiamento e ritrovare la pulsione vitale - continua - è fondamentale avere un supporto genitoriale”. Oggi però sempre più famiglie dicono di essere sole e senza strumenti per salvare un figlio che non vuole essere aiutato.

“La droga va oltre ogni sentimento. È in grado di sovrastare ogni emozione, fino a che quello che hai davanti non è più tuo figlio”. Giuseppe e Stefania sanno di cosa parlano. La cocaina si era presa loro figlio fino a fargli perdere tutto: gli amici, gli affetti, il lavoro, la casa. “Quando lo abbiamo raccolto, aveva perso anche il cane”, racconta Stefania.

Adesso, guardandosi indietro, si chiedono dove abbiano tirato fuori tutta quella forza. Fino a dove possa arrivare il coraggio di una madre e di un padre sono proprio loro a raccontarlo, spiegando il momento in cui sono arrivati alla scelta più difficile: denunciare loro figlio. “C’è stato un periodo in cui i nostri rapporti si sono interrotti. Una sera è arrivato a casa e chiedeva di entrare. Piangeva e minacciava di sfondare la porta. Sono intervenute due camionette dei carabinieri, hanno messo mio figlio con la faccia a terra e con le manette lo hanno bloccato. Da lì un’ambulanza lo ha portato in pronto soccorso”. Quella sera è scattata la denuncia per pericolosità sociale, l’ultimo tentativo per evitare il peggio, per fare in modo che iniziasse un percorso comunitario. La chiamano forza di sopravvivenza ma dietro a tanta tenacia si apre un mondo di dolore e sofferenza.

Durante i mesi che hanno preceduto quella notte, Giuseppe e Stefania rimanevano a casa, con le serrande chiuse, rifiutando ogni contatto con il mondo esterno. “Sono stata malissimo: in quattro mesi e mezzo ho perso 9 chili, ho avuto un Herpes Zoster. Ho deciso così di prendere un’aspettativa dal lavoro. Sapevo che dovevo salvare mio figlio. Il giorno in cui lui ha deciso di entrare in comunità, sono tornata a lavoro”.

Quello che rimane oggi è il senso di colpa per non aver agito prima e non aver capito che c’era un problema. Stefania lavora in un ospedale e ancora oggi si chiede come sia possibile che lei, che attraverso il suo lavoro aiuta le persone, non abbia saputo cogliere il malessere di suo figlio. La verità, spiega il marito, è che “hai quasi paura di guardare in faccia la realtà e certe volte, per timore, ti volti dall’altra parte”. Dopo tanto dolore, oggi Stefania guarda con sorriso suo figlio che, dopo essere stato per 4 anni e mezzo all’interno della comunità Aga di Treviglio, è ritornato a vivere. Con la sua, anche la loro vita è ricominciata.