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di Sabino Cassese

Corriere della Sera, 17 aprile 2024

Mondo virtuale e regole: si moltiplicano gli interventi legislativi sempre più difficili in un territorio senza confini. Il governo italiano si avvia a regolare l’intelligenza artificiale e a riconoscere due esistenti organismi come “autorità nazionali per l’intelligenza artificiale”. Il presidente Biden, nell’ottobre scorso, ha emanato un “Executive Order” allo stesso scopo. L’Unione europea ha già approvato regolamenti su un arco più ampio di temi, quali la gestione e l’organizzazione dei dati, i mercati digitali, i servizi digitali, la cybersicurezza, nonché l’intelligenza artificiale. Altri Paesi si stanno affrettando a stabilire regole nazionali.

Tutto questo perché si lamentano la scarsa supervisione da parte degli operatori sulla diffusione di notizie non controllate, le cosiddette fake news; gli arbitraggi fiscali (pagamento delle imposte dove conviene ai giganti del digitale); l’utilizzo di notizie e materiale che si trova in rete, senza rispettare le norme sul “copyright”; il commercio dei dati raccolti dagli operatori studiando a fini commerciali il comportamento degli utenti. Le nuove norme, approvate o allo studio, sono mosse dal timore dello sviluppo di poteri privati di dimensioni ben superiori a molti Stati; dalla paura che questi nuovi poteri si comportino come veri e propri governi, senza rendere conto a nessuno; dal pericolo delle intrusioni sia nella vita privata dei singoli, sia nelle opinioni pubbliche nazionali.

Le norme nazionali e sovranazionali mirano a proteggere i diritti fondamentali e i valori costituzionali, quale per esempio la privacy e la concorrenza, e sono dirette a stabilire la responsabilità di produttori e utilizzatori, l’applicazione di regole antitrust e l’introduzione di autorizzazioni e licenze. Insomma, come ha scritto Luisa Torchia in un lucido articolo intitolato “Poteri pubblici e poteri privati nel mondo digitale”, pubblicato nell’ultimo numero della rivista il Mulino, “siamo di fronte a un passaggio da un mondo digitale libero e sregolato a un mondo che richiede sempre più regole pubbliche e private”.

Questo ardore regolatorio pone due interrogativi, uno retrospettivo, l’altro rivolto al futuro, sui quali vorrei svolgere qualche riflessione. Primo: se i giganti del digitale non si fossero sviluppati - su territorio USA - in una bolla di immunità, e fossero stati subito sottoposti a antitrust e regolazione, avrebbero potuto affermarsi come poteri privati universali? Secondo: se l’Unione europea e gli Stati intervengono - come stanno facendo - regolando “dal basso” (cioè per regioni limitate, come l’Europa, o per singoli Paesi) un fenomeno universale, che è “più in alto”, quale successo potranno avere tali regolazioni? Se intorno ai giganti del digitale non fosse stata garantita, alla nascita, una bolla di immunità, nel luogo di origine (gli Stati Uniti) e altrove, non ci sarebbe stato uno sviluppo di poteri universali: gli Stati avrebbero “nazionalizzato” il loro perimetro di azione e non sarebbe stato possibile, quindi, lo sviluppo di un enorme industria come quella digitale. Questa, al suo nascere, sarebbe stata sottoposta a regole nazionali o anche sovranazionali, ma non globali, e sarebbe rimasta soffocata o se ne sarebbe impedita l’espansione universale, con la conseguenza di avere una rete locale piuttosto che mondiale, oppure una rete con molti buchi.

Altrettanto importante, se non più rilevante, l’interrogativo relativo al futuro. Nella misura in cui singoli Stati o Unioni di Stati, come quella europea, intervengono, agendo “dal basso” su un fenomeno che è ormai universale, i rischi sono molti. Il primo è quello della inutilità, per la difficoltà di sottoporre un fenomeno globale a discipline regionali, come quella europea, o nazionali. Il secondo pericolo è quello di una regolazione parziale, ad Arlecchino, dove sarebbe invece necessaria una regolazione globale. Il terzo pericolo è indicato da Luisa Torchia nell’articolo citato, del tecnonazionalismo e della frammentazione della rete. Un quarto pericolo è quello che rimangano zone grigie, prive di una regolamentazione. C’è, infine, il pericolo che l’azione di regolazione nazionale o europea finisca per sabotare lo sviluppo dell’industria digitale, svolgendo lo stesso ruolo che ha avuto il luddismo nella fase iniziale della rivoluzione industriale, con la differenza che lì si distruggevano macchine industriali, qui reti digitali.

Per il futuro, bisognerebbe riflettere sulla saggezza che spinse gli Stati, all’inizio dello sviluppo di “Internet”, a promuovere l’istituzione di un regolatore globale privato, l’”Internet Corporation for Assigned Names and Numbers” (ICANN) una “non-profit Corporation” che in questi anni ha operato, sia pure in ambiti ristretti, da regolatore globale, senza imporsi, ma assicurando uno sviluppo regolare della rete. Si lasciò, sostanzialmente, nelle mani di quelli che si chiamano “stakeholders” poteri che in molti altri settori sono detenuti da organismi pubblici. Insomma, non sarebbe meglio avere un regolatore privato globale?