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di Giuseppe Gargani

Il Dubbio, 2 dicembre 2023

Con le dichiarazioni del ministro Crosetto in Parlamento probabilmente cesseranno le polemiche sulle sue dichiarazioni giornalistiche: polemiche che, non portano a nulla se non a inasprire il rapporto tra la magistratura e la politica. In linea con la rigorosa tradizione del giornale che affronta i fatti per quelli che sono, esprimiamo la nostra valutazione e le nostre idee sulla grande questione giustizia.

Crosetto naturalmente ha ragione nella sostanza, ma sbaglia nel ritenere che ci siano riunioni più o meno segrete di magistrati o complotti. La magistratura è divisa rigidamente in correnti e dice alla luce del sole, in convegni, in conferenze, negli infiniti dibattiti televisivi, che il magistrato nell’epoca moderna deve essere in linea con la Costituzione e perciò “lottare”, attraverso la “giurisdizione” contro il “potere” della maggioranza politica, quale che sia, e quindi del governo: in qualche modo deve fare “opposizione”.

In Italia, sostiene la magistratura dagli anni 70, nonostante la presenza del Pci, non vi è un’opposizione al “potere” che possa essere degna di rispetto. Questo programma è proprio di “magistratura democratica”, ma ha plasmato la “coscienza” del magistrato che non si sente più sottoposto alla legge ma si pone “di fronte alla legge”! Ritiene cioè di essere un magistrato “etico” che “garantisce la legalità”. Si tratta di un problema estremamente serio e problematico che non è solamente italiano ma interessa la giurisdizione di tutti i paesi a democrazia avanzata. Le istituzioni si modificano, si evolvono, e il “ruolo” del magistrato ha subito una evoluzione che la “politica” non ha compreso, né valutato. È un problema che va approfondito perché è un problema culturale e istituzionale: come coniugare l’indipendenza del magistrato, caposaldo dello Stato democratico, con la necessaria “responsabilità” richiesta gran voce. Perché oggi non è concepibile nessuna immunità e impunità e ogni istituzione deve essere controllata per non debordare dei suoi compiti.

Nessun potere è insindacabile: questo lo spirito della Costituzione al quale fa eccezione la magistratura. Se non si affronta questo problema non si risolve tutto resta una polemica di basso livello. Devo dire che questo problema non volle comprenderlo la Dc, non lo capì il Pci, che, anzi, strumentalizzò la magistratura per tentare di scalzare la Dc e il risultato fu che perirono tutti! Voglio dire al ministro Crosetto, ma il ministro della giustizia lo sa bene, che negli anni 70 il pm Colombo l’ho ripetuto 1000 volte preannunziò un ruolo politico della magistratura perché il consociativismo tra la Dc e il Pci lasciava il “potere” senza “sanzioni” e venne “Tangentopoli”: una deviazione vistosa delle indagini giudiziarie. Poi venne mafiopoli con l’intento più preciso, in base a pregiudizi ideologici, di condannare il “potere” che voleva servirsi della mafia… E oggi siamo in presenza di esplicite dichiarazioni sulla rivista Quale giustizia e ripetute in un convegno a Palermo aperto al pubblico, a cinque stelle e al Pd, per individuare un magistrato che entra nelle “lotte sociali” e quindi si “schiera”: non è “terzo” come la Costituzione e il buon senso impongono. Questa è la realtà di fronte alla quale il politico deve confrontarsi non con palliativi o piccole riforme.

Aggiungo una cosa di grande importanza. È profondamente vero, che da molti anni il legislativo, delega al magistrato la soluzione dei problemi. Si tratta di una realtà sotto gli occhi di tutti, rilevata anche in sede scientifica, per spiegare la crisi della norma giuridica. È una patologia che in questa sede sarebbe lungo spiegare, che dipende da ragioni serie e sistematiche, ma che rivela la inadeguatezza della classe dirigente in Parlamento. Questo problema è chiaro a tutti, ma è egualmente chiaro per tutti che il magistrato “approfitta” per fare la “lotta”… anziché stare sereno e pacifico! Orbene è possibile che nessun magistrato ammetta questa verità, questa realtà così evidente. È vero che sono soprattutto i pubblici ministeri ad alimentare le polemiche, e non i giudici, ma fa meraviglia che magistrati di spessore culturale come Spataro non ammettano questa patologia e non confessino che il problema è maledettamente serio. Viene lo sgomento e mi chiedo perché non dire la verità che loro ben conoscono, e riconoscere che questa lunga fase di transizione, che porta il magistrato a deviare e a non avere credibilità, può essere superata se si lavora insieme non in contrapposizione.

Ci si scontra su piccole riforme che apparentemente risolvono i problemi e non si trovano personalità superiori che propongano “la fine del perenne conflitto tra i signori del diritto”, come recita il titolo di un libro molto significativo di Ortensio Zecchino, che dà testimonianza degli scontri sin dall’antica Grecia, “tra il potere legislativo e il potere giudiziario”. “La storia del diritto” dice Zecchino “può essere letta come perenne conflitto per conseguire il dominio. Confliggenti principali sono legislatori e giudici, partendo da Hammurabi, legislatore nel XVIII sec. A.C., per giungere al giudice del nostro tempo, dominante in conseguenza di grandi trasformazioni socio - giuridiche”.