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di Maurizio Crippa

Il Foglio, 8 ottobre 2023

Intercettazioni illegali, violazioni della corrispondenza privata, trojan a strascico e gogna a mezzo stampa. Troppa ipocrisia di Anm. L’indagine al di sotto di ogni sospetto sui calzini celestini del giudice Mesiano, commissionata da giornalisti del Cav. più zeloti che zelanti per denigrare il presunto nemico, spiandolo addirittura sotto l’orlo dei calzoni, resterà nella storia come dimostrazione grottesca di quanti danni possa fare l’intrusione illecita nelle vite degli altri.

I calzini azzurri di Mesiano spiccano come una mosca nera su un muro bianco, ma non bastano certo per nascondere una verità meno ridicola, anzi tragica: perché, a parti invertite, il potere di ferire la vita degli altri, con metodi spesso degni della Ddr, sono talvolta i magistrati, e persino apparati dello stato. Intercettazioni illegali che non hanno risparmiato nemmeno le più alte cariche istituzionali, violazioni della corrispondenza privata di parlamentari, trojan e strascico, la diffusione di fatti e fatterelli perfettamente privati, perfettamente legali, utili solo alla costruzione del nemico da abbattere attraverso la complicità corriva di mezzi di informazione.

Tutto questo orrore di cui gronda la nostra storia giudiziaria rende poco credibile la difesa della “vita privata”, allorché si tratta della giudice Apostolico, messa su da una parte dei suoi colleghi. “Le vite dei pm” difese, con un bel tasso di ipocrisia, addirittura dal presidente di Anm, Giuseppe Santalucia, secondo cui “si accentua la tendenza a giudicare la terzietà del giudice” attraverso “lo screening della persona, cioè vedere chi è questo giudice”. Per il membro del Csm Roberto Fontana, “scandagliare la vita delle persone delegittima tutti”. Per Eugenio Albamonte “si preferisce la strada dell’aggressione”.

A chiarire che non è così basterebbe la sentenza di Cassazione (1998) secondo cui il magistrato ha “il dovere non soltanto di essere esente da ogni ‘parzialità’ ma anche ‘al di sopra di ogni sospetto di parzialità’”. Ancora più esplicito, il presidente Mattarella alle toghe nel giugno scorso: “L’imparzialità della decisione va tutelata anche attraverso l’irreprensibilità e la riservatezza dei comportamenti individuali, così da evitare il rischio di apparire condizionabili o di parte”.

Nel caso Apostolico non siamo di fronte a “una involuzione molto forte nel rispettare il ruolo della magistratura”, sono i suoi comportamenti a risultare privi della “irreprensibilità e riservatezza” necessarie. Ma il video della magistrata alla manifestazione, che potrebbe valere i calzini di Mesiano, si sta trasformando in un caso di dossieraggio, con tanto di esposto in procura di Angelo Bonelli, e il governo e la stessa Meloni, a smentire. Ma ad apparire inaccettabile è l’invocazione della privacy dei magistrati, dopo che tali invocazioni non si sono udite per un numero enorme di inchieste condite di intrusioni indebite che hanno distrutto “le vite degli altri”.

E non si parla solo di Berlusconi, sopravvissuto a decenni di campagne ossessive sul suo stile di vita privato. O della propalazione di dettagli personali irrilevanti. La ministra Guidi fu inchiodata al ludibrio non per l’inchiesta Tempa Rossa (archiviazione) ma per l’intercettazione senza valore della “sguattera del Guatemala”. Materiale raramente giornalistico: il più delle volte uscito dai tribunali mentre la stampa gridava al “bavaglio”. E ancora c’è chi finge di non sapere come nascano inchieste pochade come Santa Marinella. Del film di Henckel von Donnersmarck ricordiamo la cupa atmosfera poliziesca. Ma anche il titolo del romanzo che il protagonista pubblica anni dopo: “Sonata per gli uomini buoni”. Dedicato “a HGW XX/7, con gratitudine”, cioè all’agente che lo aveva spiato ma poi salvato. Chissà se tutti i difensori delle vite dei pm potrebbero specchiarsi in quel magnifico titolo.