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di Chiara Saraceno

La Stampa, 26 ottobre 2023

All’interno di quel 63 per cento di famiglie che fatica a arrivare a fine mese, secondo i dati Eurostat pubblicati qualche giorno fa, ci sono quelle che proprio non ce la fanno. La povertà assoluta si sta rivelando nel nostro paese un fenomeno difficile da scalfire nonostante la ripresa dell’occupazione dopo gli anni bui della lunga crisi finanziaria e poi del Covid. Anzi, a fronte di una stabilità della povertà relativa, nel 2022 è ulteriormente aumentata di mezzo punto percentuale rispetto al 2021, passando rispettivamente dal 7,7 all’8,3 per cento delle famiglie e dal 9,1 al 9,7 per cento degli individui. Il peggioramento ha riguardato tutte le ripartizioni territoriali, ma è stato particolarmente accentuato nel Mezzogiorno, a conferma della maggiore difficoltà che incontra la ripresa in quelle regioni. Secondo l’analisi dell’Istat, questo peggioramento è dovuto in grande parte all’inflazione, che ha colpito più duramente le famiglie economicamente più modeste. Il peggioramento sarebbe stato ancora maggiore se non fossero intervenute le misure prese dal governo Draghi, poi confermate da quello Meloni. Istat stima che i bonus sociali per l’energia e il gas - fortemente potenziati nel 2022, sia nell’importo sia nella platea dei beneficiari - abbiano contribuito a contenere la crescita della povertà assoluta di sette decimi di punto. Vale la pena di segnalare che per tutto il 2022 era ancora in vigore il Reddito di Cittadinanza, che ha avuto un ruolo importante nel contenere sia l’incidenza sia l’intensità della povertà assoluta. Questo ammortizzatore è stato indebolito ed eliminato per alcune fasce della popolazione povera già nel 2023 e, dal 2024, rimarrà in vigore solo per alcune categorie, in primis le famiglie con figli minorenni.

Reddito di cittadinanza (e l’assegno unico), tuttavia, non sono sufficienti a proteggere neppure i minorenni dalla povertà. Con un 13,4 per cento di incidenza, pari a un milione e 269 mila persone, i bambini e ragazzi continuano a essere esposti alla povertà assoluta in misura sproporzionatamente maggiore rispetto agli adulti ultra 34enni e agli anziani ultra 64enni, che hanno un’incidenza rispettivamente del 9,4 e 6,3 per cento. Ma ciò vale anche per i giovani fino a 34 anni, in povertà assoluta nel 12 per cento dei casi. È un fenomeno ormai consolidato da decenni, che pone un’ipoteca preoccupante sul futuro di una parte rilevante delle giovani generazioni in una società in cui queste sono in dimensioni sempre più ridotte e perciò il loro benessere, le loro opportunità dovrebbero essere percepiti e praticati come interesse collettivo, non solo come una questione di equità.

Le intenzioni, e le politiche, pro-nataliste devono confrontarsi con il fenomeno della povertà minorile e giovanile e con la sua concentrazione non solo nelle famiglie con tre o più figli minorenni, dove riguarda oltre un quinto (21 per cento), ma anche quelle con due figli, dove è in povertà assoluta il 10,6 per cento, a fronte del 6,5 delle famiglie con un solo figlio minorenne. Si aggiunga che le famiglie con minorenni povere lo sono anche più gravemente delle altre, pure povere. Ciò significa che sperimentano deprivazioni più gravi, che possono, nel caso dei minorenni, inficiare le possibilità di un pieno sviluppo delle capacità e di sfruttamento delle opportunità. Non a caso il fenomeno dei Neet, pur con tutte le sue interne diversificazioni, è particolarmente concentrato tra i giovani che hanno un background familiare di povertà.

Anche avere un adulto occupato in famiglia protegge solo in parte dalla povertà assoluta. È vero che questa riguarda circa un quarto delle famiglie con minorenni con persona di riferimento non occupata o in cerca di occupazione. Ma si trova in povertà assoluta anche il 9,4 per cento di quelle in cui la persona di riferimento è occupata, percentuale che sale al 15,6 se si tratta di lavoratore manuale o assimilato. Sono le famiglie di lavoratori povere. È una questione di salari troppo bassi rispetto alle necessità di una famiglia, di contratti talvolta precari, ma anche della forte prevalenza, in Italia, delle famiglie mono-percettore di reddito tra quelle che hanno figli, specie se i genitori sono a bassa istruzione e/o se vivono nel Mezzogiorno, dove la domanda di lavoro è bassa e i servizi scarsi. Serve poco introdurre una decontribuzione per le lavoratrici (a tempo indeterminato) madri per il secondo o terzo figlio, se la nascita di un figlio rende impossibile conciliare lavoro e famiglia o se le opportunità di lavoro sono solo precarie.

La situazione della povertà assoluta minorile e delle famiglie con minorenni è particolarmente grave nelle famiglie, regolarmente residenti, di stranieri, non solo perché sono più spesso numerose, ma perché i lavoratori e lavoratrici stranieri sono fortemente concentrati nelle occupazioni meno qualificate, a più basso salario e precarie. A fronte di un’incidenza del 7,8 per cento per le famiglie con minorenni di cittadinanza italiana, è del 36,1 per cento per quelle composte unicamente da stranieri e del 30,7 per cento nel caso più generale in cui nella famiglia con minorenni ci sia almeno uno straniero. Solo un miope etnocentrismo potrebbe far considerare rassicurante o consolatorio questo enorme squilibrio. Senza gli stranieri e i minorenni stranieri, lo squilibro demografico che tanto preoccupa per la sostenibilità del nostro paese nel medio e lungo periodo sarebbe ancora maggiore e più irreversibile. Ignorare le difficoltà e deprivazioni che caratterizzano oltre un terzo dei minorenni che crescono, e spesso anche nascono, in Italia significa non solo sprecare una risorsa preziosa, ma innescare potenziali processi di disgregazione, ribellione, marginalizzazione sociale.