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di Gianni Balduzzi

linkiesta.it, 14 settembre 2023

Tra i ragazzi più della metà dei detenuti è straniero, e per chi non è italiano le pene sono più severe. Ma nelle carceri non ci si possono aspettare miracoli di umanità come in “Mare Fuori”. I reati dei minorenni sono in crescita rispetto agli ultimi anni, ma non rispetto allo scorso decennio. È ciò che emerge dalla lettura dei dati ufficiali, ovvero quelli dell’Istat, del Ministero dell’Interno e della Polizia di Stato.

Nel 2022 secondo quest’ultima sono stati 33.723 gli arresti e le denunce che hanno coinvolto gli under-18. Vi è stato un aumento del 13,8% rispetto al 2019, prima della pandemia, ma se il paragone è con la metà degli anni Dieci non si scorge un peggioramento: nel 2015 fu superata quota trentacinquemila, mentre nel 2016 denunce e arresti furono circa settecento in più dell’anno scorso. Vale la pena inquadrare la questione anche da un punto di vista generale per comprendere l’impatto sul tema sicurezza nella sua totalità: parliamo di poco più di trentamila casi su circa ottocentotrentunomila complessivi, la stragrande maggioranza dei quali, quindi, riguarda gli adulti.

Questo ci dice innanzitutto che quello dei reati dei minori è un problema soprattutto per i suoi protagonisti, i ragazzi che delinquono, che in questo modo finiscono ai margini della società, più che per la tranquillità della comunità. Guardando la situazione più nel dettaglio si scopre dalle statistiche Istat e del Ministero dell’Interno come siano in calo denunce e arresti per reati legati agli stupefacenti o ai furti. Non vi sono dati del 2022 ma il chiaro andamento di riduzione era iniziato ben prima del Covid. Questo dovrebbe fare comprendere come non esiste alcuna emergenza legata allo spaccio da parte dei minori, nonostante l’esecutivo abbia deciso di aggravare pene che vengono inflitte per questo reato.

Lo stesso non si può dire, però, per crimini violenti come le lesioni (incluse le percosse) e le rapine. In questo caso il leggero aumento pre-Covid si è trasformato in un deciso incremento dopo la pandemia. Nel 2022 vi sono stati 3.771 minori incriminati per lesioni, il trentaquattro per cento in più di dieci anni prima, e 2.968 per rapine, il sessantuno per cento in più che nel 2012. Il tutto è accaduto in concomitanza con una certa stabilità dei dati riguardanti gli adulti. Per fortuna invece rimangono piuttosto marginali e sono in calo numeri sugli omicidi, i tentati omicidi e gli attentati.

Non siamo dunque il Venezuela o Tijuana, ma, certo, un problema è presente. Come reagire? Con più carcere? In realtà Eurostat ci dice che l’Italia è già tra i Paesi europei in cui vi sono più minorenni nel sistema detentivo, 12,99 ogni centomila abitanti nel 2021. Naturalmente quelli che l’istituto di statistica europeo chiama prisoners non sono per forza dietro le sbarre. Negli Istituti Penali per Minorenni (Ipm) secondo il più recente report di Antigone ve ne sono solo trecento ottantadue. La maggioranza è sottoposta a pene alternative, come per esempio gli arresti domiciliari o la permanenza in comunità. Nel complesso parliamo di 1.215 ragazzi e ragazze. Solo in Polonia tra i Paesi esaminati ve ne sono di più in valore assoluto. Nel passato l’Italia era lontana da tali primati. Nel 2011, nonostante i minori nel sistema detentivo fossero di più, 14,22 ogni centomila abitanti, i dati italiani erano in realtà inferiori a quelli di altri Paesi che oggi superiamo, come la Spagna. Nel tempo in alcuni Stati vi è stato un netto calo del ricorso a misure detentive di vario tipo, in Italia no. È interessante il fatto che, invece, nel caso degli adulti la proporzione di detenuti sia sempre stata nel nostro Paese inferiore a quella presente in realtà importanti come la Francia e la Spagna.

Che fare, dunque? Posto che di ragazzi già puniti in vario modo non ve ne sono pochi, e sono mediamente più che altrove, la soluzione sarebbe, per esempio, spostarne di più dalla comunità al carcere vero e proprio? Antigone, che pressoché inascoltata raccoglie da molto tempo dati dettagliati sul tema, mostra una realtà molto peculiare che non si può ignorare se si vuole comprendere le ragioni del fenomeno e quindi le possibili azioni da intraprendere: gli stranieri rappresentano il 51,2 per cento di quanti entrano negli Ipm, è una cifra enorme in confronto alla presenza di immigrati nel nostro Paese. È chiaro come più le pene sono severe più sono coinvolti quanti provengono dall’estero (anche se qualcuno in realtà è nato in Italia): sono infatti meno, il ventidue per cento, tra quelli genericamente in carico ai servizi della giustizia minorile e il 38,7 per cento se consideriamo quelli collocati in comunità. Arrivano addirittura al settanta per cento nel caso in cui dopo l’arresto vi sia l’applicazione della custodia cautelare in carcere.

A proposito di custodia cautelare, più del sessanta per cento di quanti stanno negli Ipm deve ancora ricevere una sentenza definitiva, il 28,7 per cento è addirittura in attesa di un primo giudizio. Questi numeri ci dicono che non vi è tanto un problema di percezione della possibilità di punibilità da parte dello Stato, visto che si tratta in molti casi di minori che hanno pochissima conoscenza del sistema giuridico in cui si trovano, né gioca un grande ruolo la famiglia, che spesso non esiste, come dimostra il fatto che tanti stranieri neanche possono essere posti agli arresti domiciliari.

Per il Governo, così come per molti altri, è molto comodo atomizzare l’origine del comportamento criminale, pensare che possa provenire da considerazioni dell’individuo o dalla famiglia, ma qui siamo evidentemente di fronte a enormi problemi di integrazione di giovani stranieri i quali, che siano in Italia da poco o da molto tempo, ci rimarranno, e lo sappiamo.

La realtà è che integrarli è maledettamente difficile, non abbiamo neanche grandi esempi disponibili all’estero da utilizzare, non ci sono ricette pronte. Possiamo però avere il sospetto che limitarci a gettarne ancora di più nelle carceri minorili, quelle vere, in cui non accadono miracoli di umanità come in “Mare Fuori”, peggiorerà ulteriormente la situazione, perché nel curriculum di ogni capo-banda un passaggio dietro le sbarre c’è sempre.