di David Allegranti
La Nazione, 21 agosto 2022
Cinquantadue. Sono i suicidi in carcere dall’inizio dell’anno. Nel 2021 sono stati 57. Un numero enorme e terribile. Pochi giorni fa a Verona c’è stato il caso di Donatella, 27 anni, che per andarsene ha usato il gas del fornello. “Se in carcere muore una ragazza di 27 anni così come è morta Donatella, significa che tutto il sistema ha fallito. E io ho fallito, sicuramente…”.
Le parole, contenute in una lettera letta durante il funerale, sono del magistrato di Sorveglianza Vincenzo Semeraro. Ma a pochissimi interessa la vita dei ristretti: non portano voti e non portano consenso. A occuparsene sono i Radicali e qualche associazione che svolge un lavoro meritorio, da Antigone all’Altro diritto. “I temi della pena e del carcere dovrebbero essere molto vicini al cuore e alla vita delle persone perché attengono al più critico dei rapporti fra stato e individui: la privazione della libertà personale. Una politica accorta dovrebbe occuparsene, un corpo elettorale accorto dovrebbe chiederne conto”, mi dice la filosofa del diritto Sofia Ciuffoletti.
Gli operatori e i volontari chiedono di allargare il diritto alle telefonate. “Dieci minuti a settimana di telefonate forse andavano bene nel 1975, ma oggi non bastano”, dice Antigone. È una richiesta giusta, ma la politica è impegnata nella campagna balneare. Fra flat tax al 23 o al 15 per cento, contorsioni populiste e campi larghi o stretti: a nessuno interessa occuparsi dell’emergenza carceri. Già è stato difficile durante il picco della pandemia spiegare che no, in carcere non si sta meglio che fuori come qualche scanzonato direttore del Fatto quotidiano va sostenendo da anni. Figurarsi oggi. Eppure la (in)civiltà di un Paese si misura anche dallo stato delle sue carceri. Secondo i calcoli di Antigone, in carcere ci si uccide 16 volte in più che nel mondo libero. “A uccidersi sono persone spesso giovani, la maggior parte di chi si è tolto la vita quest’anno aveva tra i 20 e i 30 anni”, spiega l’associazione presieduta da Patrizio Gonnella.
I problemi sono sempre gli stessi, da anni: sovraffollamento (tasso ufficiale, a fine giugno, del 107,7 per cento, con 54.841 persone recluse su 50.900 posti); elevata percentuale di detenuti stranieri, di tossicodipendenti e di detenuti affetti da patologie psichiatriche. Da settimane al purtroppo noto elenco si è aggiunto anche il caldo, contro il quale le carceri italiane non sono attrezzate. Prendiamo, in Toscana, il caso di Sollicciano, denunciato anche dal cappellano del carcere don Vincenzo Russo: “A Sollicciano si deve curare l’igiene, dobbiamo dare la possibilità ai detenuti di vivere una normalità, questo non sta accadendo.
Loro devono convivere con gli scarafaggi e le cimici: la mattina mi fanno vedere le punture ed è inaccettabile. Poi c’è il problema del caldo, non si respira… I problemi sono tanti. Dalla tossicodipendenza alla malattia mentale. Come ho detto c’è tanto sporco, anche nelle aree comuni. All’interno di Sollicciano ci sono 44 etnie, la convivenza in queste condizioni diventa difficile. Dobbiamo investire queste persone”. Carcere: c’è qualche partito che… offre di più?