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di Alessandro Trocino

Corriere della Sera, 10 gennaio 2024

L’introduzione del reato di rivolta, le relazioni politiche degli agenti, il ritardo nell’insediamento del garante e le pressioni per abolire la fattispecie della tortura. Le carceri sono piene ben al di sopra della capienza massima e il tasso di violenze e suicidi è altissimo. Ma ci sono alcuni segnali che fanno pensare che le cose possano peggiorare. Sono quattro, per la precisione, i motivi di allarme: un nuovo reato criminogeno, inserito nel pacchetto sicurezza; il collateralismo sempre più spinto dei sindacati degli agenti di custodia con il sottosegretario Andrea Delmastro; il ritardo nel (contestato) passaggio di consegne del nuovo garante nazionale dei detenuti; e la possibile modifica del reato di tortura. Il tutto in un quadro di aggravamento delle pene e di introduzione di nuovi reati che, uniti a un uso sempre meno frequente delle misure alternative, porterà a livelli drammatici il sovraffollamento (ne avevamo parlato qui).

Reato di “Rivolta in carcere” - È passato sostanzialmente inosservato il nuovo reato introdotto dal pacchetto di sicurezza, inserito in un giro di vite complessivo, su borseggio, baby accattonaggio e altro. Si chiama “rivolta in carcere” e va osservato con attenzione. È punito con pene fino a 8 anni chi organizza e fino a 5 anni chi partecipa a rivolte, aumentati a 10 anni se si usano armi. Un’ulteriore fattispecie punisce chi istiga la rivolta, anche dall’esterno, con scritti diretti ai detenuti. L’inasprimento della pena fino a 6 anni riguarda anche le rivolte avvenga nei Cpr per migranti. Vediamo da vicino la norma (415 bis del Codice penale): “Chiunque, all’interno di un istituto penitenziario, mediante atti di violenza o minaccia, di resistenza anche passiva all’esecuzione degli ordini impartiti ovvero mediante tentativi di evasione, commessi da tre o più persone riunite, promuove, organizza, dirige una rivolta è punito con la reclusione da due a otto anni”. In sostanza nella fattispecie della rivolta viene inclusa anche l’ipotesi di disobbedire a un ordine. Una norma “paradossale”, la definisce Mauro Palma, ex garante dei detenuti: “Quando, ad esempio, si va all’aria in carcere, c’è un elemento collettivo di essere più di tre persone; se c’è una volta una protesta anche pacifica, può essere interpretata come istigazione alla rivolta, termine peraltro giuridicamente non definito.

Quindi mi sembra una norma scritta male, priva del principio di tassatività e a rischio di interpretazione molto estesa. L’espressione non violenta della propria insoddisfazione non può essere elemento di punibilità”.

C’era bisogno di una norma ad hoc? No, rispondono diversi giuristi, perché le rivolte si sono sempre punite con gli strumenti del codice già previsti: danneggiamenti, lesioni, saccheggio, evasione e altri. Molti processi del genere sono già in corso, come ricorda Luigi Mastrodonato su Domani. Introdurre una nuova norma, così generica e simbolica, significa solo reprimere anche i comportamenti non violenti di protesta, molto frequenti nelle carceri, comprese le disobbedienze civili. Le possibili conseguenze sono quelle che conosciamo dal sistema giudiziario americano, ovvero una spirale, un circolo vizioso, che ti porta in carcere per un reato minore e un periodo di tempo circoscritto e finisce per allungarti a dismisura la pena, “creando” un comportamento criminale laddove c’è solo l’inevitabile insofferenza a una condizione carceraria. L’avvocato Alberto De Sanctis, sul Riformista, spiega che si tratta di “scorciatoie biecamente liberticide, orientate solo a reprimere con la forza il dissenso, pacifico e non violento, di chi la libertà l’ha già persa”.

Le relazioni pericolose tra Penitenziaria e Delmastro - Nello Trocchia racconta sul Domani della vicinanza estrema tra gli agenti di custodia penitenziaria e il sottosegretario Delmastro. “Un rapporto politico, quasi fisico”, lo definisce. Raffaele Tuttolomondo è agente, chef e organizzatore di eventi, nonché segretario del Sinappe, sindacato che ha oltre cinquemila iscritti. Quando arrivò il rinvio a giudizio per Delmastro, a seguito del caso Cospito e Donzelli, Tuttolomondo fece stampare magliette che furono indossate dagli agenti: “Io sono Delmastro”. Il sottosegretario (la cui scorta è composta proprio da agenti della penitenziaria) ha preso il posto di Matteo Salvini nel rapporto con le carceri. Il ministro Carlo Nordio, che aveva promesso depenalizzazioni e riforme, sembra sempre più isolato. Quando ci fu il caso degli agenti sospettati di pestaggio nel carcere di Santa Maria Capua a Vetere, Salvini si affrettò a indossare la maglietta della penitenziaria (è tutto un cambio d’abito in solidarietà) e Delmastro lo superò chiedendo l’encomio solenne per gli agenti sospettati. Inutile dire che in uno Stato di diritto l’eccessiva vicinanza di corpi dello Stato, a maggior ragione se interessati alla tutela della sicurezza e dell’incolumità pubblica, alla politica è pericolosa. La polizia, i vigili, gli agenti, i magistrati, non dovrebbero avere colore po litico e non dovrebbero indossare magliette di partito, perché sono al servizio dello Stato e dei cittadini.

Il Garante che non c’è - Che fine ha fatto il nuovo garante dei diritti delle persone private della libertà? Nessuno lo sa. Nel senso che il precedente, lo stimato Mauro Palma, è andato in pensione ormai dal 1 dicembre e il nuovo, Felice D’Ettore, non si è ancora insediato. Nordio, spiega Giulia Merlo sul Domani, pensava a Rita Bernardini in quel ruolo, ma gli sarebbe stato imposto D’Ettore, ex deputato di Forza Italia poi entrato in Fratelli d’Italia. Votato a maggioranza, vista la sua provenienza di parte, e senza esperienze specifiche nel mondo delle carceri: è docente di diritto privato. Un organo indipendente per natura e definizione, che viene invece piegato alle ragioni di parte (Palma era stato votato all’unanimità). Nella terna c’è anche un esponente vicino ai 5 Stelle, partito d’opposizione che non disdegna gli scambi di favori con Fratelli d’Italia. Che fine ha fatto D’Ettore, si diceva? Non si sa. Si sa solo che servirà ancora qualche mese prima che diventi operativo. Il tutto mentre le carceri scoppiano e i suicidi annunciati, come quello di Matteo Concetti ad Ancona, si ripetono.

La tortura che (forse) non ci sarà - Trocchia riferisce quel che gli dice l’agente e segretario del Sinappe Tuttolomondo: “Delmastro ci ha dato garanzie che il reato di tortura sarà modificato”. Eppure il Consiglio d’Europa - preoccupato dal fatto che una serie di proposte di legge presentate alle Camere da parlamentari dei partiti della maggioranza puntano a smantellare il reato di tortura - ha di recente invitato “caldamente” il governo a “garantire che qualsiasi eventuale modifica al reato di tortura sia conforme ai requisiti della Convenzione europea dei diritti umani e alla giurisprudenza della Cedu”. Il governo ha risposto che non ha intenzione di abrogare il reato di tortura. Ma le modifiche, in senso restrittivo, sono all’ordine del giorno e gli agenti aspettano che Delmastro rispetti la promessa.