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di Andreina Corso

lavocedivenezia.it, 13 giugno 2023

Un altro avviso di custodia cautelare, dopo aver cercato di ricostruire la propria esistenza e aver assaporato la semilibertà e un lavoro. Così quell’inaspettata notifica risalente a fatti di qualche anno fa, gli ha sconvolto la vita, fino alla decisione ultima di togliersela da sé, quella vita, impiccandosi. Aveva trentotto anni: lui è B.D, stava scontando la pena alla Casa Circondariale di Santa Maria Maggiore, a Venezia. Lui, è il 23° suicida dal primo gennaio.

Secondo il XIX rapporto di Antigone sulle condizioni delle persone carcerate presentato a Roma, il 2022 è stato l’anno drammatico dei suicidi in carcere. Il Garante Nazionale Mauro Palma, al quale la Legge attribuisce il compito di vigilare sul rispetto dei diritti delle persone private della libertà, ha denunciato 85 suicidi in un anno, uno ogni quattro giorni.

Da Strasburgo giunge il monito della Corte europea che, ancora una volta e senza mezzi termini, sollecita le autorità italiane a migliorare le misure preposte a prevenire i suicidi in carcere, che “nel 2022 hanno raggiunto un livello senza precedenti”, e a “proseguire gli sforzi per assicurare una capacità sufficiente e terapie adeguate delle Rems”, le residenze alternative per color che soffrono di disturbi psichici indotti e provocati anche dalle condizioni disumane che sono costretti a subire.

A chiederlo è il Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa che rileva la violazione dell’articolo 3 della Convenzione dei Diritti dell’Uomo che proibisce di sottoporre i detenuti a “trattamenti inumani e degradanti”. E invita il governo italiano a fornire, entro la fine dell’anno, le azioni che avrà messo in atto per riparare a questa violazione. La valutazione dell’Ue sui sistemi giudiziari degli Stati membri, fotografa l’Italia tra i Paesi lumaca in molti campi e in particolare nell’attuare le buone riforme.

E noi? Con il nostro bagaglio storico e culturale, noi che vantiamo di essere figli di un pensatore come Cesare Beccaria che nel 1764 ha scritto “Dei delitti e delle pene” un’opera illuminista che ha influenzato la giustizia penale in Europa e nel mondo. E ancora noi che ci interroghiamo su come sia possibile garantire un percorso di recupero efficace per coloro che hanno commesso reati nel passato.

La finalità del sistema penitenziario non dovrebbe limitarsi alla punizione, ma anche a fornire strumenti e opportunità per la riabilitazione delle persone ristrette, in modo da consentire una reintegrazione positiva nella società. Una delle principali riflessioni riguarda la necessità di investire nella formazione e nell’educazione all’interno e all’esterno delle strutture carcerarie. La cultura come strumento di prevenzione e socializzazione potrebbe influenzare il benessere delle persone attraverso processi di inclusione e accoglienza: è questo uno degli obiettivi del Progetto ‘La cultura come cura’ a Bergamo, ad esempio e della funzione del teatro, dello studio, del lavoro, per proporre ai ristretti di raggiungere un obiettivo, per sollecitare quel cambiamento che può nascere dalla connessione fra il dentro e il fuori.

Una prima prevenzione potrebbe essere quella di non dimenticare che un uomo, anche se ha sbagliato, rimane un uomo e come tale deve essere trattato. Per la sua e nostra incolumità e perché così recita la nostra Costituzione. Come fa un uomo che ha bisogno di ritrovarsi, a rimettersi in piedi, se dorme in spazi piccoli e affollati, se non fa niente dalla mattina alla sera, se rimane in cella 20 ore, se assume psicofarmaci e vi si adegua. I bagni delle celle non sempre sono situati in un vano separato, e non sono forniti di doccia né di acqua calda, né di bidet. Il degrado interiore si associa, per somiglianza, a quelle ambientale: senza lavoro, attività, lontano dagli affetti, chiuso a chiave in una cella. Quell’uomo qualcosa dice anche a noi, al nostro senso di responsabilità, a noi che osserviamo da fuori, da lontano.