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di Francesca Fuscaldo*

Il Dubbio, 31 agosto 2023

Il numero dei suicidi in carcere sta progressivamente aumentando e il dato è allarmante: 84 nel 2022 e già 40 dall’inizio del 2023. Il ministro Nordio ha recentemente affermato di voler adottare adeguate contromisure, intervenendo sull’edilizia carceraria e implementando il personale medico, paramedico e assistenziale. Il sovraffollamento carcerario e l’inadeguatezza degli spazi affligge il nostro Paese ed è ormai noto e attenzionato da tempo, anche dagli organi internazionali, così come l’insufficienza del personale medico e assistenziale. Si tratta però di misure pensate per chiudere e soffocare. Il suicidio non è un fattore che risolvi con cemento e laterizi, né implementando il controllo. Chi vuole morire non arriva a questa scelta per una questione di metri e sa farlo in ogni momento, con qualsiasi mezzo e senza alcunché.

Solo uno stato di disperazione totale può condurre una persona a sopportare la fame e la sete fino a trovare la morte. La certezza di aver buttato la propria vita. L’idea di non avere più altro da vivere, niente per cui sorridere, nessuno da cui tornare. E tutta questa disperazione non proviene da stanze piccole o carenza del personale. Vi è correlazione tra tipo di reato commesso e suicidio. Predominano crimini passionali legati all’ambito familiare e tossicodipendenza. Un dato comune: dove e da chi tornare?

Per non parlare dei suicidi in custodia cautelare. I suicidi senza condanna. E se poniamo questo dato in correlazione al numero degli innocenti prima sottoposti a custodia cautelare in carcere e poi assolti, certamente non ci vengono in mente, né le stanze e né il personale. Perché non sono questi i fattori che conducono alla disperazione. È l’innocenza violata a farlo, l’essere sottoposti al verdetto mediatico senza processo, il sentirsi senza alternativa e la convinzione di non avere speranza. La stessa speranza che ci fa dire che si deve intervenire sì, ma non avendo come primo obiettivo quello di aumentare ciò che conduce alla morte. Prima che con l’edilizia carceraria, bisogna intervenire con l’edilizia sanzionatoria. Prima di aumentare i colloqui telefonici, bisognerebbe introdurre pene realmente proporzionali al fatto commesso.

Servono misure alternative come pena principale e un ripensamento sulle fattispecie bagattellari. Serve mettere ordine tra la giustizia e il giustizialismo. La giustizia non provoca rabbia, frustrazione e impotenza. È la speranza, non solo di chi la ottiene ma, spesso, anche da chi la subisce. Dona la possibilità di redimersi e di dimostrare di poter essere migliore. La giustizia non uccide, il giustizialismo può farlo. Sono le pene percepite come ingiuste. Sono le sentenze senza processo, lo schiaffo rivolto alla presunzione di innocenza, l’inadeguatezza del sistema preventivo e l’ingiustizia a uccidere. Ed è a tutto questo che ci si deve rapportare.

*Criminologa