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di Luisa Loi

Il Dubbio, 24 marzo 2022

La promessa tradita - Con una decisione improvvisa ma niente affatto sorprendente, la leadership dei talebani che dall’agosto dello scorso anno guida l’Afghanistan ha deciso di non aprire le scuole alle ragazze oltre le elementari. Ad annunciarlo è stato il ministero dell’Educazione del governo non riconosciuto dell’Afghanistan in occasione del primo giorno del nuovo anno scolastico che avrebbe dovuto vedere proprio il ritorno delle ragazze a scuola. La decisione di posticipare il ritorno delle ragazze che frequentano la scuola ai livelli superiori sembra essere una concessione alla parte di popolazione rurale e profondamente conservatrice che è riluttante a inviare le proprie figlie a scuola. Le ragazze sono state bandite dalla scuola oltre la sesta elementare nella maggior parte del Paese da quando i talebani sono tornati al potere a metà agosto. Le università sono state aperte all’inizio di quest’anno in gran parte del Paese, ma da quando hanno preso il potere i talebani la maggior parte degli istituti sono stati vietati a ragazze e donne. La leadership talebana non ha ancora deciso quando o come consentire alle ragazze di tornare a scuola. Sebbene i talebani abbiano accettato che i centri urbani siano per lo più favorevoli all’istruzione femminile, gran parte dell’Afghanistan rurale si oppone, in particolare nelle regioni tribali pashtun. La maggior parte dei talebani sono di etnia pashtun.

La “Decisione dei talebani di chiudere le scuole secondarie femminili conferma il loro incrollabile oscurantismo misogino. Il diritto paritario all’educazione deve rimanere un punto dirimente di qualsiasi trattativa”, commenta su Twitter il segretario di Più Europa e sottosegretario agli Esteri, Benedetto Della Vedova. Qualche giorno fa, inoltre, la relazione annuale dell’Intelligence relativa all’anno 2021 descriveva una una gravissima crisi economica, alimentare, climatica e sanitaria dovuta alla mancanza dell’afflusso dei fondi esteri: aNegli ultimi 20 anni l’economia afghana si è retta sugli aiuti internazionali, al punto che nel 2020 il 42,9 per cento del Pil e il 75 per cento della spesa pubblica provenivano da donatori stranieri”.