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di Mario Bertolissi

Corriere del Trentino, 28 giugno 2023

Divampano le polemiche e si fronteggiano le tifoserie. In disparte, il cittadino, che si chiede come mai la giustizia debba sempre provocare risse. Omessi un ragionamento pacato e la consapevolezza che tutto è discutibile. Non privo di difetti. Da non banalizzare, però. Perché la banalizzazione è, di per se stessa, un male, al quale è difficile porre rimedio. Del resto, moderazione e sobrietà consentirebbero di comprendere ciò che, soprattutto, è in gioco.

1) Se c’è un principio, che caratterizza, nella sua stessa ragion d’essere, lo Stato di diritto, questo è il principio della separazione dei poteri. Le Costituzioni lo presuppongono e fissano le regole, che il legislativo, l’esecutivo e il giudiziario debbono rispettare. Quella italiana indica i casi in cui il Governo può sostituirsi al Parlamento; il quale, tuttavia, rimane il decisore per eccellenza, quando si tratta di esercitare la funzione legislativa. Il giudiziario - a rigore, ordine e non potere - non gode, sotto questo profilo, di alcuna particolare prerogativa. Anzi, l’articolo 101, II°comma, stabilisce - allo scopo di salvaguardarne l’indipendenza e, al tempo stesso, di circoscriverne il raggio d’azione - che “I giudici sono soggetti soltanto alla legge”. Se, poi, la legge è incostituzionale - come qualcuno sostiene, a proposito del disegno di legge del ministro Nordio se ne occuperà, appunto, la Corte costituzionale, investita dai giudici con apposita ordinanza di rimessione.

2) La riforma, di cui si discute, riguarda il diritto penale, disciplinato da una serie non trascurabile di disposizioni costituzionali, che hanno ad oggetto, tra l’altro, il diritto di difesa, il giudice naturale, il principio di legalità e la non retroattività della legge penale (articoli 24, 25 e 27). Tuttavia, prima di queste previsioni, ne vengono in gioco altre: esse concernono la libertà personale (o dagli arresti: articolo 13) e le prerogative della persona, che il Costituente ha ribadito più volte, quando ha parlato di dignità (articoli 3, 32, 36 e 41), colta sotto molteplici profili, tutti riconducibili a un’idea generale di rispetto per ciò che la persona è, ha compiuto e, prospetticamente, potrà compiere in libertà.

A proposito delle intercettazioni, si è rilevato che, se limitate, non avremmo mai potuto conoscere fatti e misfatti gravi. Ma, troppo spesso, siamo venuti a conoscenza di dati e notizie, che riguardano, addirittura, persone estranee alle indagini, delle quali sono stati rivelati episodi ed aspetti della vita, che nessuno ha il diritto di conoscere. Perché tutti hanno il diritto di custodire le proprie miserie, se sono tali, di cui sono sovraccarichi pure i santi. Ma chi ha a cuore la dignità offesa? Protesta soltanto quando ne è leso. Quasi mai prima, perché preferisce a un’idea di giustizia, che inquieta le coscienze, quella sbalorditiva del vecchio mal vissuto, con in mano una corda, destinata ad impiccare il malcapitato di turno. Un Enzo Tortora?

3) Perché, tutto questo? La risposta è frutto di una riflessione, che riguarda ruolo e funzioni del magistrato. Il pubblico ministero non è giudice, ma è magistrato e può, oggi in forma più limitata rispetto al passato, ricoprire entrambe le posizioni. Ebbene, Piero Calamandrei ci ricorda - quando scrive del consigliere della corte d’appello di Firenze, Pasquale Saraceno - che “l’errore giudiziario era la sua ossessione”. In generale, però, mentre “La professione dell’avvocato è (…) maestra di modestia”; “per il giudice (…) la superbia (…) è una malattia professionale”: infatti, “è raro che il magistrato (…) rinunci al privilegio inebriante (anche se a lungo andare pericoloso) di aver sempre ragione”. Lo scambio reciproco di contestazioni risentite non ha nulla a che fare con la giustizia. Per sintonizzarsi su questa lunghezza d’onda, è necessario sapere - ci avverte Alessandro Manzoni - che le passioni “non si posson bandire, come falsi sistemi, né abolire, come cattive istituzioni, ma render meno potenti e meno funeste, col riconoscerle ne’ loro effetti, e detestarle”. Per questo, sarebbe opportuno disintossicarsi pensando, piuttosto che a sé, al prossimo.