di Concita De Gregorio
La Stampa, 26 gennaio 2023
Il tema viene banalizzato, il nostro primo nemico è la noia che ci impedisce di concentrarci su ciò che è importante. Siamo tutti molto noiosi. Siamo ripetitivi, prolissi. Non lo sappiamo che nessuno legge più di venti righe? Se si tratta di qualcuno che vuole approfondire, intendo: un intellettuale, un letterato. Se no, solo il titolo. Ogni “polemica del giorno” balla sui titoli, quindi pensa che tragedia quando - così spesso - il titolo è sbagliato, impreciso, distorto e forzato per fare notizia. Ma poi tragedia, insomma: alla fine è una giostra, una fiera della vanità utile a eleggere il più spiritoso del giorno, il più cliccato nel commento sarcastico o nell’insulto e ciao. Domani si ricomincia da capo. Carne fresca, tragedia nuova per favore. Liliana Segre, 92 anni, lo ha capito benissimo e lo ha detto in meno di dieci parole meglio di una star di TikTok, vedi che non è l’età a fare la differenza: la gente dice “basta con questi ebrei, che cosa noiosa, la sappiamo”, ha detto. Difatti sì. Sono anni che la gente dice che pizza, non esattamente con questa formula. Persino gli undicenni portati per la terza volta dalla scuola a vedere Il bambino con il pigiama a righe tornano a casa e dicono che pizza, loro sì letteralmente perché ai genitori non si dicono parolacce. Quindi hai voglia a scrivere editoriali sul valore della memoria, a portare testimonianze - le ultime, siamo in dodici qui a pendere dalle labbra di superstiti quasi centenari, e dopo? - a celebrare il Giorno. Sì, va bene, lo sappiamo già. Poi che altre notizie ci sono, di che si parla oggi di fresco? L’algoritmo liquida la Shoa, gli adolescenti impiccati in Iran e l’ultimo bombardamento russo in Ucraina come temi lenti, fuori dal trend topic. Va meglio Fedez su Emanuela Orlandi (chieda scusa! Si penta di aver riso! Si tatui mi vergogno!) per non parlare dell’ansia di conoscere la nuova “revenge song” di Shakira contro Piqué e il video della suocera che per strada la prende per le guance. Dice: ma l’algoritmo non lo puoi evitare, lo devi governare. Mai uno che spieghi come, però. O che dica: al diavolo l’algoritmo, riprendiamoci la vita e il suo senso. E che caspita.
Sono reduce da una riunione in cui una serie di esperti pagati moltissimo come consulenti da un importante finanziatore mi hanno spiegato con l’aria di chi parla a una studentessa di terza media che bisogna fare titoli molto lunghi ed esaustivi, sul web, perché chi legge sul telefono e “scrolla”, cioè tutti, si distrae in mediamente tre minuti e legge solo i titoli (scrollare, lo dico agli anziani miei coetanei, è una parola di una lingua inesistente che significa far scorrere velocemente i contenuti in verticale sullo schermo). Dunque, dicevano i superconsulenti strapagati: chi legge sul telefono è continuamente distratto da messaggi e chiamate che arrivano, notifiche di mail e tutto l’inferno che si scatena quando ti disponi a stare attento allo smartphone. Non ha tempo e non ha voglia di seguire un ragionamento, che cosa arcaica e prolissa. Noiosa. Bisogna procedere per punti, per slogan. Bisogna avere sempre un video sexy (con sexy si intende sconcertante, violento, imprevedibile o, non plus ultra, ad alto contenuto erotico) che illustri ogni passaggio del discorso perché la gente non vuole leggere: vuole vedere. Ecco. A parte il “mansplaining”: questo per me tuttora incredibile automatismo per cui tratti la donna che hai di fronte come un’imbecille a cui spiegare i numeri e i colori. Non è di questo che voglio parlare ma neppure posso ignorarlo. È una piaga sociale che andrebbe trattata come un’emergenza al pari della crisi energetica ma non succederà, specialmente non ora, quindi prendiamo nota e andiamo avanti.
Il grande problema che abbiamo di fronte è la fretta, la noia. Veramente dobbiamo adeguarci? Dobbiamo correre al ritmo di chi si stanca di sentire la storia di qualcuno che è sopravvissuto alle indicibili torture di un campo di concentramento, allo sterminio della sua famiglia e del suo mondo, di chi muore impiccato per un’idea di libertà, di chi affoga in mare su un gommone coi figli neonati per scampare alla morte per violenza e per fame? Davvero non abbiamo idea, tutti quanti i milioni di milioni di super intelligenze che siamo, a come interrompere, fermare questo imperativo di intrattenimento sulla sciocchezza del giorno? Allora arrendiamoci. Mettiamoci in fila indiana a mani in alto di fronte alle colonne dei gattini pucciosi, dei megaderetani di silicone in tanga, del quiz “riconosci queste tette?”.
Domani è il Giorno della Memoria. Mi rendo conto di essere noiosissima, elitaria, conservatrice ma anche un po’ comunista e radical chic, qualunque cosa significhi. Però vi giuro: se non ci concentriamo più di tre minuti a sapere da dove veniamo non c’è nessuna possibilità di avere chiaro dove andiamo. Non è un pensiero mio che non sono nessuno. E’ una regola di vita codificata dalla Storia. Poi, magari, non interessa a nessuno sapere dove andiamo: conta solo ora, tabula rasa ogni giorno, conta cosa succede oggi e pazienza per il futuro. Questo è un altro problema grande, le conseguenze le pagheranno i nostri figli, ma intanto: se avete più di tre minuti che vi avanzano, fra oggi e domani, state a sentire Liliana Segre. E’ l’ultima che ci resta, ha 92 anni: fatelo come se fosse vostra madre che ha da dirvi una cosa. Quante volte avete risposto non ho tempo ti richiamo, e poi invece. Fatelo, prima o dopo vi tornerà utile. Potrete dire: io c’ero, l’ho sentita. Non avrete rimpianti, se sapete di cosa si tratta.