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di Giuliano Foschini

La Repubblica, 12 aprile 2023

Intervista a Francesco Messina nel giorno della festa della Polizia per i 171 anni di vita: “Dopo l'arresto di Messina Denaro è sbagliato pensare che Cosa Nostra sia stata definitivamente sconfitta”. E sui gruppi che provengono dall'altra sponda dell'Adriatico: “I criminali albanesi sono una delle nostre priorità”.

Mille arresti per mafia in un anno. “Mille cento e 78 per la precisione”. Francesco Messina è il direttore centrale dell'Anticrimine della Polizia. È un vecchio “sbirro”, in un senso quasi letterario del termine, e ha passato gran parte della sua vita a caccia di mafiosi. Come dimostrano i numeri, non ha smesso. Nemmeno ora che la cattura di Matteo Messina Denaro ha fatto dire a qualcuno che la mafia siciliana sta finendo.

“Questo, purtroppo, non è vero. Il lavoro di questi 30 anni ha permesso di limitare fortemente Cosa Nostra. Ne è stata ridotta l'offensività. Ma pensare che sia stata sconfitta per sempre è un errore grave. La cattura di Messina Denaro ha rappresentato un colpo, certo, importantissimo. Perché Matteo rappresentava in qualche modo un simbolo. Ma andando nel concreto dobbiamo dire che la sua influenza non era ancora particolarmente significativa. Si era chiuso da qualche tempo, probabilmente per via della malattia, in una comfort zone tutta trapanese che gli consentiva di essere nascosto senza nascondersi. Ma i segnali di fermento sono altrove”.

Dove?

“A Palermo, con le ultime elezioni, abbiamo visto un tentativo di avvicinarsi alla politica. I nuovi gruppi cercano di creare un direttorio, ma per fortuna il lavoro della magistratura e di tutte le forze di Polizia non glielo permette. Ora la forza è nella gestione delle piazze di spaccio che consente loro di avere una liquidità importante. Ma non è il “fuori” che ci fa stare preoccupati. Quanto il “dentro”.

Prego?

“Stiamo assistendo a una fibrillazione carceraria, a riprova che gli unici veri capi sono in galera. I vecchi boss non hanno perso la loro operatività. Questo è possibile grazie agli enormi capitali che hanno accumulato negli anni e consente loro di vivere bene”.

Ma il fermento di cui parlava da cosa è dettato?

“La vittoria contro la mafia si è sviluppata grazie a quattro pilastri: la legislazione sui collaboratori, l'ergastolo ostativo, il 41 bis e le misure di prevenzione patrimoniale. Troppo spesso, nel dibattito pubblico, questi pilastri vengono messi in discussione senza rendersi conto delle conseguenze del ragionamento. Parliamo del 41 bis: il rispetto dei diritti costituzionalmente garantiti ai detenuti è una premessa imprescindibile ma a una situazione giuridica speciale, com'è quella di un capo mafia che si rifiuta di collaborare con la giustizia e resta fedele invece alla sua organizzazione, deve corrispondere una specialità di trattamento. Senza il 41 bis, capi corleonesi come Leoluca Bagarella, Nino Madonia o i fratelli Graviano potrebbe accedere ai permessi premio e tornare per qualche giorno a casa. Abbiamo idea di cosa significherebbe? In poche ore ricostruirebbero contatti che noi abbiamo impiegato anni a eliminare”.

La mafia siciliana resta la più pericolosa?

“In questo momento la 'Ndrangheta calabrese è sicuramente quella maggiormente pericolosa, forte militarmente ed economicamente più importante. Occhio, come tra l'altro alcuni processi e indagini testimoniano, al filo che si può creare con la Sicilia: dove c'è una carenza militare di Cosa Nostra, possono arrivare i calabresi per creare un network. In Campania assistiamo alla solita situazione magmatica e disordinata che rende la Camorra difficile da leggere ma sempre assai forte. La Quarta Mafia, quella foggiana, è forse la più efferata e arcaica. Meno organizzata delle altre tre, ma pericolosissima dal punto di vista militare. Dopo anni di sottovalutazione, è stata affrontata di petto ma per il futuro non si può abbassare la guardia”.

Che armi vi servono?

“Non rompere quelle che abbiamo. Io ritengo cruciali le misure di prevenzione. Perché ci permettono di fare prima, e alcune volte meglio rispetto ai processi ordinari. Lo scorso anno, come Polizia, abbiamo sequestrato 181 milioni alle organizzazioni criminali. È su quello che bisogna battere: tornando alle carceri, i mafiosi sono detenuti modello perché sono i più ricchi”.

Ieri su Repubblica il capo della procura speciale nazionale contro la criminalità organizzata albanese, Altin Dumani, parlava del rapporto dei criminali albanesi con le nostre mafie.

“Gli albanesi sono broker di droga straordinari, che gestiscono carichi dal Sud America all'Europa. In Italia hanno basi importanti: al Nord si muovono con una qualche autonomia, al Sud invece parlano con le nostre organizzazioni criminali. Non hanno un controllo del territorio ma rappresentano una delle nostre priorità”.