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di Franco Corleone

L’Espresso, 20 agosto 2023

Il 2 agosto alla Camera è andata in scena, ad opera dei 5Stelle, una mediocre replica della rancida polemica contro i vitalizi. Lo scopo era quello di montare l’indignazione contro i privilegi, di chi condanna la cancellazione del reddito.

La propaganda è uno strumento che va maneggiato con cura, evitando l’uso disinvolto di falsità che disorientano i cittadini e alimentano un clima di odio inutile.

La demagogia contro la casta spinse il Parlamento ad abolire i vitalizi nel 2012 e ad instaurare un sistema pensionistico contributivo e legato al raggiungimento dei 65 anni di età.

Quindi i vitalizi non esistono più.

Nel 2018 la scure si abbatté sugli ex parlamentari con una operazione di ricalcolo retroattivo con il metodo contributivo. L’errore marchiano nell’utilizzo di coefficienti sbagliati ha obbligato l’amministrazione di Camera e Senato a effettuare dei riconteggi. I ricorsi dei parlamentari hanno costretto gli organi di giustizia interna, Consigli di Giurisdizione e Consigli di Garanzia ad assumere decisioni anche tenendo conto delle indicazioni della Corte Costituzionale.

Siamo di fronte ad un contenzioso giudiziario, perdipiù affidato, secondo la vigenza della autodichia, a parlamentari che devono resistere a pressioni partitiche ed essere autonomi nel giudizio.

Per fortuna nella discussione è intervenuto Piero Fassino a difendere la dignità dei rappresentanti del popolo stigmatizzando l’orgia populista dei 5Stelle e di Fratelli d’Italia. Un connubio che spiega la deriva del Paese e molti accordi sottobanco.

La vicenda non merita una particolare attenzione nel merito, ma vale la pena di ricordare che nel 2018 un carneade chiamato Di Maio vomitava verso gli ex parlamentari frasi del genere: “I vitalizi non sono diritti acquisiti, ma privilegi rubati”, “Parassiti sociali che hanno campato sulle spalle di tanta gente”, “Questi ex dis-onorevoli, vitalizio-dipendenti, non conoscono vergogna”. In questi anni sono scomparse figure eccezionali della storia della Repubblica e con ipocrisia sono state celebrate.

Il proverbio secondo cui il bue dà del cornuto all’asino, si attaglia a un personaggio che si è accaparrato un ruolo internazionale senza merito e solo grazie a spartizioni di sottopotere.

Quali lezioni si devono trarre da questo episodio minore ma non trascurabile?

La prima: la ricostruzione di una cultura politica che caratterizzi l’opposizione, capace di contrapporsi alla destra al potere, richiederà intelligenza inedita e pensieri lunghi.

La seconda: la consapevolezza che la crisi della democrazia è assoluta, se non irrimediabile, è drammaticamente assente.

La terza: il ruolo del Parlamento è inesistente e ridotto a pura caricatura, a luogo di registrazione di decisioni prese altrove, stretto tra decreti e voti di fiducia.

Prima di pensare al cosiddetto campo largo, occorre chiedere conto degli errori politici e istituzionali compiuti con il taglio dei parlamentari (sempre ad opera dei 5Stelle) e del delitto di Calenda alle ultime elezioni politiche. Il Pd deve giustificare l’incapacità di imporre la modifica di una legge elettorale che dà la maggioranza alla minoranza.

Va ricordato l’ultimo ammonimento di Mario Tronti che auspicava che “nell’irrazionalità della storia” si accendesse una scintilla “capace di incendiare la prateria”.