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di Paola Rossi

Il Sole 24 Ore, 22 settembre 2023

La gravità della condotta e la sua rilevanza penale sono intimamente connesse alla potenziale diffusività dello strumento. Non passa la tesi difensiva che la diffusione di opinioni razziste o eversive diffuse su un social possa essere “derubricata” a gioco di ruolo “innocuo” a fini di istigazione e propaganda di contenuti contraria ai principi fondamentali dell’ordinamento nazionale o internazionale. La diffusione di siffatti contenuti non è priva di offensività in sé in quanto è aggravata dalla possibilità che siano fruiti da un numero indeterminato di persone. Neanche se lo scambio si fonda su un’iniziale attività riferibile a sole poche persone.

Con tale motivazione la Corte di cassazione - con la sentenza n. 38423/2023 - ha respinto il ricorso dell’imputato contro la misura cautelare applicatagli della detenzione in carcere. La misura di massima privazione della libertà personale non era, tra l’altro, giustificata dalla sola notorietà negli ambienti di area neonazista dell’imputato, ma anche dal rinvenimento di armi in suo possesso e all’interno di un covo riferibile al suo ambiente politico dichiaratamente orientato all’eversione e all’antisemitismo. Per quanto larvata la struttura logistica giustificava - vista la presenza di armi - la tesi del Pm secondo il quale fosse sussistente quel pericolo alla base dell’applicazione della misura cautelare personale.

L’imputazione è stata quindi ritenuta fondata relativamente a entrambi gli articoli 270 bis (Associazioni con finalità di terrorismo anche internazionale o di eversione dell’ordine democratico) e 604 bis del Codice penale (Propaganda e istigazione a delinquere per motivi di discriminazione razziale etnica e religiosa).

Infatti, integra la condotta di propaganda all’odio razziale l’adesione a una comunità virtuale caratterizzata da vocazione ideologica neonazista, avente tra gli scopi dichiarati l’incitamento alla discriminazione e alla violenza per motivi razziali, etnici o religiosi. La condivisione, sulle bacheche di una piattaforma social, di messaggi di chiaro contenuto negazionista, antisemita e discriminatorio per ragioni di razza, etnia o religione comporta l’elevato pericolo di diffusione di tali contenuti ideologici tra un numero indeterminato di persone derivante dall’algoritmo di funzione dei social network, aumentando il numero di interazioni tra gli utenti attraverso l’inserimento di like e il rilancio di post e dei correlati commenti degli internauti.