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di Linda Laura Sabbadini

La Repubblica, 2 giugno 2023

La festa della Repubblica celebra anche il giorno in cui il suffragio divenne universale. E la risposta fu straordinaria. A distanza di 77 anni restano però le diseguaglianze. Il 2 Giugno è un grande giorno. È la festa della Repubblica, della democrazia e della rinascita dell’Italia, la cui bandiera il fascismo aveva infangato e sporcato di sangue con la sua cultura d’odio, con guerre, torture, fame, sofferenza, pensiero unico, asservimento della Nazione invasa. Non si può festeggiare questa data senza ricordare questa verità storica.

Il 2 giugno è anche il giorno in cui, con entusiasmo, le donne andarono a votare per la prima volta, più degli uomini, contro tutti i pronostici, con l’atteggiamento contrario e i commenti maschilisti di tanta stampa, ma non dei giornali femminili Grazia e Gioia.

E riuscirono ad affermarsi 21 donne nell’Assemblea Costituente, anche a quei tempi accompagnate da tanti “commenti” sull’aspetto fisico, naturalmente. Ma che forza hanno sprigionato queste donne! Che grinta! Nadia Gallico Spano a chi sosteneva che era necessario un capofamiglia, in plenaria rispondeva che c’era già, la donna. Maria Maddalena Rossi, a Piero Calamandrei che diceva che le donne con la richiesta di famiglia democratica stavano contrastando il codice civile, rispondeva con fierezza: “Le donne cambieranno i codici”.

Non parliamo poi degli interventi fondamentali sull’articolo 3. Lina Merlin ha il merito di aver fatto aggiungere la parola “sesso” nella prima parte dell’articolo 3, “Tutti i cittadini hanno pari dignità e sono uguali davanti alla legge senza distinzioni di..”. Le dicevano che non serviva e che era implicito e lei si richiamava alla rivoluzione francese, dove “cittadino è considerato solo l’uomo con i calzoni, e non le donne, anche se oggi la moda consente loro di portare i calzoni”. Teresa Mattei fece aggiungere la parola “di fatto” alla limitazione della libertà e dell’uguaglianza, a sottolineare che le conquiste giuridiche sono importanti ma non sufficienti. E così si arriva al comma 2 dell’articolo 3: “È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”.

E così nasce la nostra Carta Costituzionale con il segno sostanziale delle madri costituenti. Fantastiche! Una bussola fondamentale per sviluppare la libertà femminile e una vera democrazia. Ma la verità è che siamo molto indietro nell’attuarla, nonostante le grandi mobilitazioni delle donne, le loro innumerevoli conquiste, le leggi varate soprattutto negli anni ‘70, ma anche successivamente. Le leggi rimangono in molti casi sulla carta. Quella che istituiva i nidi pubblici era del 1971. Dopo 60 anni dove sono? La legge che costituiva i consultori nel 1975 come è stata attuata? La legge 328 sull’assistenza ad anziani e a disabili del 2000 non ha ancora visto la definizione dei livelli essenziali di assistenza. L’assunzione della Convenzione di Istanbul non ci vede applicarne uno dei contenuti, quello del rafforzamento dei centri antiviolenza e della loro estensione. La legge sulla parità salariale? E potrei continuare.

Il grande vulnus della nostra democrazia a 77 anni dal 2 giugno 1946 è la svalorizzazione delle donne nel Paese. Fin quando questo nodo fondamentale non sarà risolto, non faremo il balzo vitale di libertà e giustizia sociale di cui il nostro Paese ha bisogno.

L’approccio economicocentrico delle politiche ha impedito che il nostro Paese valorizzasse le donne che si sono affermate contro tutto e contro tutti, sulla base del loro valore, pagando un alto prezzo per la propria volontà di realizzarsi su tutti i piani. Altamente penalizzate in presenza di figli. Senza nessuna politica che realmente, e non a parole, renda loro possibile sprigionare la propria energia creativa su tutti i piani. Costrette a rinunce, rinvii, sacrifici, più sforzi per ottenere meno. Il tutto pur essendo la maggioranza della popolazione.

Ci vuole una riscossa democratica contro le diseguaglianze, per la libertà di tutti. Tante intricate matasse del nostro Paese si sbroglieranno tirando il filo della soluzione della condizione femminile e se saremo capaci di imporre la centralità di questa questione nella strategia politica. Noi tutti cittadini democratici del Paese. Questo sarebbe il modo giusto per festeggiare la nostra Repubblica.