sito

storico

Archivio storico

                   5permille

   

di Andrea Fabozzi

Il Manifesto, 17 giugno 2023

La mini riforma. La presidente aggiunta dell’ufficio gip di Milano Ezia Maccora: “Si affida il giudizio cautelare a un collegio di tre giudici, ma si continua a lasciare ancora a un giudice solo la decisione nel merito per pene di dieci anni e più. Dal ministro misure dirompenti per gli uffici giudiziari e i nuovi ingressi in ruolo non basteranno”. Ezia Maccora è la presidente aggiunta dell’ufficio gip di Milano. Con lei partiamo dunque dalle novità in tema di misure cautelari per esaminare la (mini) riforma Nordio della giustizia.

In linea di principio, le pare corretto che prima di emettere una misura cautelare il giudice debba sempre ascoltare l’indagato?

Nel nostro sistema esiste già una previsione analoga in caso di applicazione di misure interdittive. Siamo nell’ambito delle scelte legittime del legislatore, che nel caso specifico ritiene che per alcuni reati, soprattutto quelli economici e contro la pubblica amministrazione, la valutazione del giudice sia effettuata solo dopo aver acquisito gli elementi difensivi e aver posto a conoscenza dell’indagato gli elementi probatori a sostegno della richiesta di misura cautelare. Salvo, ovviamente, che non vi sia pericolo d’inquinamento probatorio o di fuga.

Dal punto di vista operativo, invece, il fatto che sia necessario un preavviso di cinque giorni può creare problemi, anche al di là dei casi in cui è prevista la salvaguardia dell’effetto sorpresa?

Nei procedimenti in cui la richiesta riguarda più indagati, la discovery del materiale probatorio effettuata per uno di essi potrebbe essere utile agli altri nei cui confronti si procede anche per un reato che non richiede il contraddittorio preventivo, con pregiudizio dell’effetto a sorpresa connesso alla richiesta cautelare.

Di nuovo in linea di principio, condivide che la decisione sulla custodia cautelare in carcere sia affidata a un collegio e non più al singolo gip?

È una soluzione che mal si concilia con la filosofia che caratterizza tutto il nostro sistema penale. Si affida il giudizio cautelare a un collegio composto da tre giudici, in un sistema che affida invece a un solo giudice la pregnante decisione sulla responsabilità dell’imputato per reati puniti con una pena massima non superiore ai dieci anni di reclusione, e nel caso di rito abbreviato o di proscioglimento all’esito dell’udienza preliminare per reati puniti con pene anche maggiori.

A quali problemi di attuazione questa misura può dare luogo?

Per l’organizzazione degli uffici è la misura più dirompente di tutto il disegno di legge. Potrebbe creare problemi organizzativi e di funzionalità molto importanti e rallentare le decisioni dei giudici in controtendenza con l’esigenza di assoluta celerità che caratterizza ogni richiesta di misura cautelare, soprattutto quelle per reati gravi. Oltre a triplicare le incompatibilità previste dalla legge, non potendo svolgere funzioni di giudice dell’udienza preliminare il magistrato che ha deciso la misura cautelare.

Il ministro riconosce le difficoltà rinviandone l’attuazione di due anni e prevedendo l’immissione in ruolo di 250 magistrati. È sufficiente?

Temo di no. L’ufficio gip con la riforma Cartabia è stato investito di nuove e complesse funzioni, diventando l’anello strategico di tutto il settore penale. Molti uffici gip già oggi sono in grande affanno per il carico a cui devono quotidianamente far fronte. E l’aumento di organico previsto non è risolutivo. Peraltro è destinato genericamente alle funzioni giudicanti di primo grado, non solo agli uffici gip. Analogamente l’uso della tabella infradistrettuale per far fronte alle esigenze degli uffici piccoli appare alquanto problematico se si considera la distanza tra gli uffici che appartengono allo stesso distretto di Corte di appello. Potrebbe accadere ad esempio che un gip del tribunale di Milano debba comporre il collegio a Lodi o a Busto Arsizio o a Varese per decidere una misura cautelare o un aggravamento. Si rischia la paralisi.

Condivide l’allarme dell’Anm per la cancellazione dell’abuso d’ufficio? I dati che porta Nordio parlano di un numero ridottissimo di condanne a fronte di molti procedimenti aperti...

I dati vanno letti con attenzione, sapendo che nel nostro sistema vige l’obbligatorietà dell’azione penale per cui di fronte ad una notizia di reato “vestita” occorre procedere all’iscrizione. In realtà sono proprio i dati forniti nella relazione illustrativa del disegno di legge che dovrebbero tranquillizzare se si considera che oltre il 95% dei procedimenti si conclude con un decreto di archiviazione. È quindi la stessa magistratura a operare un’approfondita e rapida selezione degli abusi penalmente rilevanti. Inoltre la norma ha subito nel tempo molto riscritture e dopo la riforma del 2020 non sono più penalmente rilevanti le condotte che rispondono all’esercizio di un potere discrezionale. Con l’abrogazione del reato però alcune condotte che presentano un importante disvalore non potranno essere punite. Penso, ad esempio, ad un caso recente in cui un commissario ha cercato di avvantaggiare un partecipante al concorso di magistratura. Il legislatore è ovviamente sovrano nel decidere ciò che merita di essere considerato reato, noi da tecnici possiamo però segnalare gli effetti che si produrranno. Non ultimo, come ha segnalato in questi giorni il vice procuratore dell’Eppo (la procura europea), diventeremo l’unico Paese tra i 22 stati membri dell’Unione a non avere tale fattispecie penale.

I nuovi limiti alla pubblicazione delle intercettazioni: sono corretti? Pensa che saranno efficaci?

La legislazione attuale, frutto degli interventi dal 2017 al 2020, ha raggiunto un punto di equilibrio ragionevole tra le esigenze processuali e il diritto alla riservatezza sancito dalla Costituzione e dalla Corte Edu. Il nuovo intervento mira a rafforzare ulteriormente la tutela del terzo estraneo al procedimento. Dal punto di vista dell’efficacia del mezzo di ricerca della prova non vedo particolari problemi dal momento che il giudice potrà sempre utilizzare il contenuto intercettato se è rilevante. Rischia invece di creare tensioni con la stampa e le sue prerogative, essendo affidato al giornalista un controllo sociale esterno per garantire la trasparenza dell’agire pubblico.