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di Giuseppe Legato

La Stampa, 1 marzo 2023

Solo il tempo dirà se diventerà un’onda oppure resterà un’iniziativa personale. Da 24 ore, nel supercarcere Bancali di Sassari c’è un altro detenuto ristretto al 41 bis che ha iniziato lo sciopero della fame. È un boss (presunto) della mafia metapontina: Scansano, Tursi, Policoro, una lingua di mare Jonio incastrata tra la Calabria e la Puglia sulla statale 106 che collega Reggio Calabria a Taranto sulla quale si è abbattuta una sentenza di primo grado definita storica dagli investigatori: la prima per 416 bis in Basilicata. Si chiama Domenico Porcelli, 49 anni, originario di Bitritto (Bari), condannato a giugno a 26 anni e 6 mesi di carcere, non vuole più mangiare. “Ieri lo ha comunicato al personale del penitenziario e oggi - assicura il suo legale Maria Teresa Pintus - chiederà di essere sentito per inviare una comunicazione al tribunale di Sorveglianza e al ministro della Giustizia Carlo Nordio”.

Da quando è iniziata la battaglia dell’anarchico Alfredo Cospito contro il 41 bis è il primo uomo di un’organizzazione mafiosa che segue la linea dell’ideologo del Fai (federazione anarchica informale) che pure a Bancali aveva iniziato a rifiutare di alimentarsi salvo essere trasferito per motivi di salute nel reparto assistenza intensiva del carcere di Opera, dove è tornato da 48 ore al termine di un temporaneo ricovero all’ospedale San Paolo di Milano.

Porcelli è detenuto dal 2018, ha già trascorso 4 anni in regime di carcere duro e da poche settimane il provvedimento - come da protocollo - è stato prorogato. Nelle relazioni depositate a supporto della decisione “si parla di telefonini e computer in suo possesso”. Ma - ribatte la legale già difensore (tra gli altri) di Alfredo Cospito - non sarebbero “mai state svolte indagini approfondite sul caso”. E poi nella zona di influenza del boss tra i vertici del cosiddetto “clan Schettino” (un ex carabiniere condannato a 25 anni e mezzo di cui Porcelli è ritenuto luogotenente) sarebbero successe cose strane negli ultimi tempi: incendi, atti intimidatori che qualificherebbero la pericolosità sociale del detenuto. “Il mio assistito - racconta la legale Pintus - non c’entra con questa storia, che pare radicata in motivi privati di un uomo mai collegato al presunto clan. Porcelli avrebbe voluto fare una dichiarazione oggi (ieri, ndr) in aula a Potenza dove si celebra il processo a suo carico, ma c’è stato un rinvio e non gli è stato permesso di parlare. Ad ogni modo ha iniziato il suo percorso”. Collegamenti con Cospito? “I fatti di Alfredo sono noti, le notizie vengono apprese dai giornali. Porcelli ritiene che il provvedimento del carcere duro nei suoi confronti sia immotivato”.

La sentenza, peraltro ancora non definitiva (Porcelli è detenuto in custodia cautelare dal giorno dell’arresto), è arrivata il 22 giugno: 24 persone sono state condannate, una sola assolta. Per la Dda, una pietra miliare nella lotta alla mafia fin qui senza precedenti.