di Valentina Raffa
Il Giornale, 26 febbraio 2023
Benedetto Spera si è rivolto alla Cassazione. Che però ha detto no. Nuovi Alfredo Cospito crescono. Ed ecco che Benedetto Spera, lo storico boss di Belmonte Mezzagno (Palermo), fedelissimo di Bernardo Provenzano, per “gravi motivi di salute” voleva la revoca del 41 bis che sta scontando nel carcere di Opera, a Milano, per essere uno dei responsabili della stagione stragista palermitana del ‘92. “Non accetta cure salvavita” è la motivazione a monte dell’istanza dell’avvocato. Ma per la Corte di Cassazione deve continuare a scontare il carcere duro a vita in quanto, proprio come è accaduto per l’anarchico Cospito, viene sancito che rifiutare le cure o i benefici di cui si potrebbe godere non deve incidere sulla condanna, perché non si tratta di una privazione punitiva imposta al carcerato, ma viene auto inflitta. La Cassazione sottolinea anche il principio di “non strumentalizzare la patologia”. Il legale di Spera ha fatto leva sulle condizioni di salute “di notevole gravità” e sul fatto che il “grave stato di decadimento che affligge il condannato non gli consente di comprendere la necessità di sottoporsi ai trattamenti salvavita”. Tant’è che il boss ha rifiutato un pacemaker. Insomma, non sarebbe in grado di discernere ciò che è per lui vitale anche per il grado di depressione da cui è afflitto.
Una tesi che contrasta, però, con gli esiti delle perizie effettuate nei mesi scorsi in carcere, che attestano la lucidità dello stragista e la sua capacità di vigilanza. La Corte di Cassazione ha tenuto conto del parere dei medici e, esprimendosi a seguito del ricorso del legale di Spera contro il parere negativo del tribunale di sorveglianza di Milano alla revoca dell’ergastolo, ha dato anch’essa parere negativo. Il fedelissimo di Provenzano per la Cassazione è anziano, ma lucido e la sua è una scelta consapevole. È il sunto della decisione del collegio giudicante, presieduto da Stefano Mogini, che ricalca il parere espresso per Cospito, sottolineando come, se una persona “lucida” non consente di farsi curare è una sua decisione assunta in consapevolezza.
Non può essere una motivazione valida al differimento dell’esecuzione della pena, ossia alla sospensione temporanea dell’ergastolo, il fatto che il boss abbia espresso palesemente di ritenere che gli interventi non cambiano la sua qualità di vita in carcere. Il rifiuto, per i giudici, non è “attribuibile ad ulteriore patologia mentale specifica di Spera, tale da non potersi considerare una scelta consapevole”. Anzi, si aggiunge la condanna al boss a pagare le spese processuali e un’ammenda di 3mila euro.