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di Errico Novi

Il Dubbio, 8 febbraio 2024

Drammatica audizione di Giovanni Russo ieri alla Camera. Apertura sulle “comunità” per chi è a fine pena. Oggi l’evento del Pd sul carcere. È raggelante. Il capo del Dap Giovanni Russo non si rifugia nelle perifrasi. Non elude la tragedia dei suicidi in cella. E forse, la sincerità del suo intervento di ieri alla Camera restituisce un quadro persino più grave del previsto. Soprattutto quando, nel cercare una spiegazione alla tragica scia di morte di inizio 2024, con 15 detenuti che si sono tolti la vita dietro le sbarre, ammette che “ci sono pochi psicologi, pochissimi psichiatri, risorse limitate, e su questo non è all’orizzonte un’inversione di tendenza”. Eppure, solo con professionisti in grado di “intercettare” un “dolore che “non è patologia”, ma “sofferenza che non deve essere acuita dalla permanenza negli istituti di pena”, solo se si riuscisse ad assistere i più fragili, sarebbe possibile frenare la strage. Ma visto che le “risorse”, allo stato, mancano, il dottor Russo, magistrato che Carlo Nordio ha nominato al vertice delle carceri italiane, ipotizza “un approccio diverso”, con “attività di verifica e monitoraggio” da realizzare anche attraverso le “segnalazioni” di “avvocati, volontari e cappellani” che conoscono il sistema penitenziario. E va benissimo, intendiamoci, che si cerchi qualsiasi strumento, in assenza di quelli d’elezione. Ma pensare di arginare solo così un’escalation che, proiettata sull’intero anno, farebbe registrare la terrificante statistica di 150- 160 detenuti suicidi, sarebbe impensabile.

Il capo dell’Amministrazione penitenziaria si presenta in audizione davanti alla commissione Giustizia di Montecitorio in virtù di una richiesta del Pd. Era stata la delegazione dem guidata dal deputato Federico Gianassi a sollecitare l’intervento di Russo, dopo che il mese di gennaio si era chiuso con la già impressionante statistica di 13 “caduti” nella marcia funebre delle prigioni. Una settimana fa, il capo del Dap era stato ricevuto da Sergio Mattarella. Nel colloquio al Quirinale, il presidente della Repubblica aveva espresso tutta la propria preoccupazione per un dramma indegno di un Paese civile. E naturalmente, per quel sovraffollamento che Russo ieri ha di nuovo citato fra le cause principali del disagio dietro le sbarre, così come aveva fatto giovedì scorso il guardasigilli Nordio durante il question time a Palazzo Madama.

Ora, a parte il “triage collettivo” in cui il vertice dell’Amministrazione penitenziaria confida di poter coinvolgere avvocati, volontari e sacerdoti, sullo sfondo c’è sì un aumento dei posti negli istituti di pena, circa 4000 fra fondi Pnrr, delle Infrastrutture e di via Arenula. Ma al ritmo di 400 nuovi ingressi al mese, confermato da Russo, la faticosa creazione di “nuovi posti letto” sarebbe bruciata in meno di un anno, con un sistema che già oggi ha sfondato le 63mila presenze a dispetto di una capienza reale inferiore a 50mila. C’è anche alle viste un accordo con l’Albania in base al quale, sulla scorta di un’analoga intesa già stipulata fra Tirana e il Regno Unito, i reclusi originari dello Stato balcanico “tornerebbero in patria in modo da espiare lì la pena”. Londra paga 34 euro al giorno per ogni recluso “rispedito a casa”, Roma queste risorse, come è evidente, non le ha e spera, dice Russo, di convincere il governo albanese con una compensazione in “servizi”, dal “know how” ai “materiali di custodia” e a “percorsi professionali ad hoc per questi detenuti in modo che tornino nel loro Paese con nuove professionalità”.

E poi, forse la sola vera scintilla di speranza è in un’ipotesi che incrocia le aspettative dello stesso Pd: trasferire in “comunità di accoglienza, educative” i detenuti “non recidivi né pericolosi con una pena residua di 6, 12 o 18 mesi”. Serve un “luogo intermedio tra detenzione e riconquista della libertà”. Se davvero si arrivasse a quelle che i dem, nella loro replica, definiscono “case di reinserimento sociale”, saremmo di fronte alla sola vera concessione deflattiva del governo Meloni. È lì l’avvio di un percorso che deroghi alla “intransigenza inframuraria” di FdI e Lega. Atteggiamento che, tuttora, condiziona lo stesso ministro Nordio, ben lontano dall’aprire ad altre soluzioni che pure aiuterebbero a decongestionare le galere, come il ritorno alle “norme covid” che autorizzavano i semiliberi, dopo il lavoro, a non rientrare la sera in cella.

Oggi pomeriggio il Pd ne parlerà nell’evento al Nazareno con alcuni dei protagonisti degli “Stati generali dell’esecuzione penale”, il prezioso ciclo di approfondimenti da cui l’allora guardasigilli dem Andrea Orlando elaborò la propria riforma, poi rimasta nel cassetto. All’incontro, che sarà coordinato dalla responsabile Giustizia Pd Debora Serracchiani, interverrà anche la segretaria Elly Schlein. Ci saranno il “regista” degli Stati generali Glauco Giostra e alcuni dei principali animatori di quel percorso, come la tesoriera di Nessuno tocchi Caino Rita Bernardini e il presidente dell’Ucpi Francesco Petrelli.

Il Partito democratico vuole farne la scintilla di una nuova iniziativa forte sul carcere. Ieri, i suoi deputati hanno replicato all’intervento di Russo in commissione Giustizia con il rammarico per le “inefficaci” e “controproducenti” politiche del governo contro il sovraffollamento. E di fatto, se l’Esecutivo non si scuotesse fino a consentire qualche misura deflattiva, e senza il timore di vedersi accusato di “svuotare le carceri”, si rischierà di assistere ancora a confessioni drammatiche come quella offerta ieri dal capo del Dap. Soprattutto, si rischierebbe di assistere inerti a una scia di morte che trascina l’Italia nell’abisso della vergogna.