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di Gian Carlo Caselli

La Stampa, 13 ottobre 2023

La partecipazione del magistrato alla vita politico-culturale lo rende sospetto a chi non ne condivide le idee. L’affermazione a ben vedere non regge. L’estraneità del magistrato dalla società è semplicemente impossibile. Basti pensare che ci sono giudici credenti e altri no e che tale condizione non è occultabile. L’ateo dovrà rifiutare il giudizio del credente e quest’ultimo quello dell’ateo? O piuttosto dovranno verificare entrambi l’imparzialità del giudice in base alla correttezza delle sue motivazioni? E se ciò vale per le convinzioni più profonde, perché non dovrebbe valere anche per le opzioni ideali, culturali, politiche?

Ho preso parte a migliaia di manifestazioni pubbliche contro il terrorismo, contro la mafia palermitana e infine contro gli insediamenti ‘ndranghetisti in Piemonte, proprio mentre mi occupavo di queste forme di criminalità. Manifestazioni che si svolgevano ovunque (parrocchie, scuole, teatri, circoli, fabbriche, sedi di partiti o sindacati, piazze …), con la partecipazione di tantissime persone, giovani soprattutto, che volevano esprimere la volontà di vivere in un paese libero e pulito. Tra gli organizzatori ricordo magistrati e avvocati, preti e politici.

In particolare Rita Borsellino, sorella di Paolo, Nino Caponnetto, don Giuliano Zattarin e don Luigi Ciotti coi suoi ragazzi di “Libera”. E non mi sono mai sentito in colpa. Anzi. Credo di aver contribuito a dimostrare che il terrorismo era nemico di tutti e non solo delle vittime colpite, innescandone l’isolamento politico contro i teorici del demenziale “né con lo Stato né con le Br”. E credo altresì di essere riuscito (insieme a tanti altri) a dimostrare che le mafie - al di là delle loro attività gangsteristiche - sono un pericolo mortale per la democrazia in quanto condizionano buona parte della vita politica ed economica del Paese.

Il fatto è che non sono le idee e la loro manifestazione, ma le “appartenenze” (in particolare se occulte) a minare l’imparzialità del magistrato. Quella di un bel tempo antico in cui i magistrati erano apolitici è una favola utile solo a occultare (magari nella prospettiva di una riedizione) una stagione di politicità massiccia a senso unico, incompatibile con un indipendente esercizio della giurisdizione. Di più: sono proprio la sedicente apoliticità e l’indifferenza a offrire copertura a subordinazioni o strumentalizzazioni del ruolo. Passione civile e imparzialità nel giudizio non sono concetti incompatibili. L’imparzialità è disinteresse personale, distacco dalle parti, non anche indifferenza alle idee e ai valori (assai pericolosa in chi deve giudicare).

Al quadro ora tracciato va ricondotta l’annosa polemica fra politica e magistratura con cui la prima vuole che la seconda si accucci ai suoi piedi. Polemica in questi giorni riesplosa perché alcuni magistrati hanno “osato” contraddire il governo non applicando il decreto Cutro, ritenuto in contrasto con le normative europee. Tutto è cominciato con un provvedimento della giudice Iolanda Apostolico di Catania, che ha “basito” la premier, mentre un giornale non tenero con i magistrati (“il Foglio”) lo ha giudicato positivamente, come del resto fior di costituzionalisti. Il ministro Nordio ha avviato il ricorso e ciò rientra nelle sue prerogative.

Ma Salvini, con una personalissima concezione dello stato di diritto, ha riesumato (non si sa come né grazie a chi, tanto che, in attesa di chiarimenti, c’è chi sente puzza di “dossieraggio”) un filmato di ben 5 anni fa in cui compare anche la Apostolico, che non dice una parola né fa un qualche gesto, ma ha il torto di assistere a una manifestazione di protesta contro il divieto di Salvini di far sbarcare alcuni profughi dalla motonave “Diciotti”.