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di Alessandro Parrotta

Il Dubbio, 18 febbraio 2023

Il recente “caso Cospito” ha riaperto il dibattito, mai interrotto ma solo, a tempi alterni, ridimensionato, sul 41 bis, sui suoi presupposti applicativi e - da taluni - sulla opportunità stessa di mantenere ancora tale regime di carcere, già più volte oggetto di censure da parte della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.

Sulla circostanza, in particolare, taluni osservatori si sono interrogati circa l’attuale perdurante esistenza delle condizioni - pericolo per la sicurezza e l’ordine pubblico (la lettera della norma parla di “accertata permanenza dei collegamenti con le associazioni di appartenenza”) - che originariamente hanno legittimato il ricorso nei suoi confronti alla più afflittiva e severa tra le forme e modalità di esecuzione della detenzione intramuraria.

Regime, quest’ultimo, che, come noto, prescinde dalla gravità dei reati commessi (e delle conseguenti condanne inflitte) non essendoci alcun tipo di automatismo tra l’entità di questi e il ricorso sic et simpliciter al regime del carcere duro. Di conseguenza, l’art. 41 bis è, piuttosto, uno strumento “tecnico” da adottarsi nei confronti di specifiche situazioni, ben individuate, sula base di una serie di valutazioni che il ministro della Giustizia deve fare con decreto motivato e sentite le autorità giudiziarie interessate. Ci si domanda, in altre parole, se la natura, l’estensione e la concreta pericolosità esterna del movimento anarchico siano tali da giustificare (ancora) l’assoggettamento dei suoi appartenenti, condannati a pene assai elevate (Cospito sta attualmente scontando la pena dell’ergastolo) al suddetto regime.

Come risaputo, il regime di “carcere duro” nasce all’indomani, prima, delle Brigate rosse, poi, delle stragi di mafia, per consentire ai condannati appartenenti a tali organizzazioni criminali di interrompere, dall’interno del carcere, il sodalizio con l’organizzazione mafiosa di appartenenza interagendo e/ o dando o ricevendo dall’esterno ordini, segnali, indicazioni. Da questa ristretta area di applicazione, il Legislatore ha, poi, ampliato il “catalogo”, per così dire, delle organizzazioni criminali a cui applicare il 41 bis: segnatamente, anche a quelle (e ai suoi appartenenti) di carattere terroristico od eversivo dell’ordine democratico.

Cospito è in carcere dal 2012, condannato a 30 anni per aver gambizzato quell’anno Roberto Adinolfi, l’amministratore delegato di Ansaldo Nucleare, e per aver piazzato due ordigni esplosivi fuori da una caserma di Cuneo nel 2006. Il 41 bis era stato firmato il 4 maggio 2022 dall’allora ministra della Giustizia Marta Cartabia su richiesta della Direzione distrettuale antimafia di Torino e della Direzione nazionale antimafia, dopo che Cospito aveva fatto pervenire dal carcere “documenti di esortazione alla prosecuzione della lotta armata di matrice anarco-insurrezionalista”.

ùSu questa scia, peraltro, nell’ambito del secondo procedimento (per la strage alla Scuola Allievi Carabinieri di Fossano), nel luglio del 2022, la Corte di Cassazione rinviava il processo alla Corte d’Assise d’Appello di Torino. I giudici di legittimità? accoglievano infatti la richiesta del Procuratore Generale di riconsiderare il reato di Alfredo Cospito, da strage comune a strage politica. Viene così modificato il capo d’imputazione nel più grave delitto di strage volta “ad attentare alla sicurezza dello Stato”, per il quale è previsto l’ergastolo con regime di ostatività.

E allora uno Stato di diritto si dimostra “forte” anche e soprattutto con chi, quello Stato, abbia eventualmente minacciato. Tale dimostrazione di forza non può che passare dall’esclusiva e rigorosa applicazione della legge. Il regime del 41 bis non è “a vita”, può essere rivisto (attenuato o revocato) non appena le condizioni che ne avevano legittimato l’applicazione vengano meno, che significa domandarsi, oggi, di fronte al caso Cospito, se il movimento anarchico costituisca una seria minaccia per la sicurezza e salvaguardia dello Stato; la stessa per intenderci - che ancora oggi sussiste con riferimento alle organizzazioni mafiose e terroristiche.

Per il governo, e l’attuale Guardasigilli Nordio tale minaccia sussiste ancora. Quest’ultimo, che ha negato, in virtù dei poteri riconosciutigli dalla legge in qualità di ministro della Giustizia, la richiesta di revoca anticipata del 41 bis avanzata dalla difesa di Cospito, ha giustificato la perdurante attualità delle condizioni legittimanti il ricorso al regime di carcere duro, ritenendo che “i profili di pericolosità correlati al ruolo associativo di Alfredo Cospito risultano confermati dal moltiplicarsi delle azioni intimidatorie e violente seguite alla adozione del regime carcerario differenziato da parte di gruppi anarco-insurrezionalisti”. Di fronte a un tale quadro, non resta che osservare con attenzione e scrupolo le evoluzioni e monitorare costantemente - l’aderenza delle scelte politiche ai diritti fondamentali sanciti dalla Costituzione e dai Trattati internazionali.