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di Alessandro Palumbo

linkiesta.it, 17 aprile 2024

La politica italiana si indigna e punta il dito contro l’Ungheria per le condizioni detentive della militante Antifa, dimenticandosi dell’indecente situazione carceraria che riguarda il nostro Paese e rimanendo inerme davanti alla totale frammentazione legislativa in Ue. Come spesso accade in Italia i casi si creano casi mediatici che poi si sgonfiano senza apparente motivo. Questo è il caso di Ilaria Salis, che dopo aver riempito pagine di giornali, dei talk show e essere diventato un caso politico, sino ad immaginare una candidatura, sta tornando nelle pagine interne dei giornali, eppure questo è un caso che si presta a molteplici riflessioni e meriterebbe maggior attenzione e più seria di quella usata sinora.

Un primo livello di attenzione meriterebbe la tematica dei nostri connazionali detenuti all’estero, sono più di duemila, la metà dei quali ancora in attesa di condanna. Di loro si sa poco e poco se ne occupano i giornali, i reati contestati sono per lo più relativi a traffico di stupefacenti, sarebbe utile capire come si muove la Farnesina, soprattutto per i casi di carcerazione preventiva, la maggior parte dei detenuti è in paesi dell’Unione europea (la metà in Germania) o ex Ue come il Regno Unito. Alcuni di questi casi hanno avuto una fine tragica, come quella di Daniele Franceschi, morto in circostanze mai chiarite nel carcere di Grasse, nella civilissima Francia.

L’assistenza consolare e diplomatica avviene in silenzio, ma non sempre è efficace, per non parlare dei nostri connazionali detenuti in Paesi che poco conoscono lo Stato di diritto e che spesso sono detenuti in condizioni allucinanti. Un paese civile ha il dovere di aiutare i suoi cittadini e di assisterli assicurando condizioni decorose, un giusto processo e una carcerazione preventiva limitata all’essenziale. Il secondo livello di attenzione riguarda le condizioni carcerarie. Spesso i nostri connazionali sono in carceri che versano in condizioni pessime e senza alcuna attenzione ai loro problemi di salute (caso Simone Renda morto in carcere in Messico senza cure, cibo e acqua). Ma qui il discorso diventa anche nostro, perché non possiamo accorgerci dei problemi delle carceri solo quando coinvolgono situazioni estere.

Le nostre carceri sono indecenti, il numero dei suicidi è altissimo, gli stranieri nelle nostre carceri sono quasi diciottomila, un numero sette volte superiore a quello dei nostri connazionali detenuti all’estero, la Corte Europea di Strasburgo ha più volte condannato l’Italia per le condizioni delle nostre carceri. Siamo sicuri di avere l’autorevolezza per lamentarci delle condizioni delle carceri negli altri Paesi? Ci accorgiamo solo ora che i detenuti hanno diritto a preservare la loro dignità di esseri umani? Anche da noi si usano gli schiavettoni e “il guinzaglio”, si mettono i detenuti in gabbia, ma giriamo volentieri la testa dall’altra parte. Affrontare questo problema non è solo una questione politica, ma una questione etica. Per un attimo il caso Salis ha portato l’attenzione su questo argomento, ma lo abbiamo fatto con un alto tasso di ipocrisia, guardando gli altri e non noi stessi, ci siamo scandalizzati senza pensare alle nostre situazioni.

Il terzo livello di attenzione riguarda la stessa Ue. Come è possibile costruire una comunità con valori comuni e istituzioni comuni senza avere un diritto comune? Come è possibile che in quelli che vorremmo Stati Uniti d’Europa gli stessi reati vengano puniti in una maniera radicalmente diversa? Siamo o vorremmo diventare cittadini d’Europa? E allora come è possibile che passando una linea che ora non è più confine, ma un libero transito, ci troviamo soggetti a situazioni che sono trattate in modo radicalmente diverso?

Sappiamo che il reato di cui è accusata (e non ancora condannata dopo un anno di carcere preventivo) Ilaria Salis è punito in Ungheria sino a venticinque anni di carcere mentre in Italia lo stesso reato è stato depenalizzato (se i documenti sono giusti, le ferite inferte guaribili in cinque giorni sono considerate lesioni lievissime, ma anche in caso di lesioni sino a quaranta giorni la pena massima è tre anni).

La certezza del diritto è una delle condizioni che creano una comunità, le diverse sensibilità nazionali non dovrebbero produrre macroscopiche differenze. Ma le domande che rimangono in sospeso sono molte. L’Ungheria può ancora considerarsi uno Stato che rispetta i parametri etici e politici della nostra Ue? Parametri che prevedono l’indipendenza della magistratura, la libertà di stampa. L’Ungheria è ancora dentro questi parametri?

Questo non riguarda solo il caso Salis, ma l’insieme dei comportamenti del governo ungherese. Allentare i nostri parametri per permettere a tutti di rimanere non è un buon viatico per i prossimi (speriamo) Stati Uniti d’Europa. È possibile che in un Paese della Ue si possa tenere tranquillamente un raduno per e “festeggiare” le SS? Sono domande che rimangono senza risposta. La nostra classe politica anche in questo caso non si è mostrata all’altezza e ha dato l’impressione di pensare più a strumentalizzare il caso per motivi elettorali che ad aprire una riflessione su temi che riguardano la nostra situazione, ma anche il futuro dell’Europa. Ora che i riflettori si stanno progressivamente allontanando si spera che la nostra diplomazia possa fare qualcosa, ma i temi rimangono tutti lì, in attesa che una politica seria li affronti.