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di Ilario Ammendolia

Il Dubbio, 25 ottobre 2023

Sono passate due settimane dalla sentenza di appello su Riace e sono venute meno le prime impressioni che non sempre sono le più giuste, oggi ci sembra giunto il momento di aprire una riflessione per capire i fatti nella sua complessità e che la grande stampa nazionale ha spesso agitato agli occhi dell’opinione pubblica per spiegare lo stato comatoso in cui si trova gran parte del Sud. Per esempio, il giorno in cui viene arrestato Mimmo Lucano, Goffredo Buccini è a Riace. Il giorno dopo scrive un articolo sulla prima pagina del Corriere della Sera con l’intenzione di spiegare ai suoi lettori cosa ci sia stato realmente utilizzando come chiave di lettura il mio saggio ‘la ‘ndrangheta come alibi’ che chiudeva con una intervista a Mimmo Lucano. È Buccini a dirlo: “Lui stesso Lucano - del resto si è sempre a suo modo “autodenunciato” persino nella scelta del suo eroe di infanzia “Cosimo u zoppu” - un Robin Hood di Riace - e fin da bambino - è l’ex sindaco di Riace a parlare - ne ero affascinato, mi pareva che Cosimo desse un suo originale contributo alla costruzione di una società più giusta”. Lo ha detto Lucano in un’intervista che chiude il libro di un altro ex sindaco calabrese, Ilario Ammendolia. Papà di uno dei computati”. Fin qui le parole di Buccini.

Non so perché abbia sentito il bisogno di scrivere “papà di uno dei computati” dal momento che il mio saggio era stato scritto prima, ma ha detto il vero anche se certamente fuori contesto. Non nascondo però che mi avrebbe fatto piacere se oggi, alla luce della sentenza di appello, Buccini avesse scritto un articolo in prima pagina o almeno un trafiletto per dire che dei diciotto imputati di Riace, escluso Lucano condannato per un reato di lieve entità, sono stati tutti assolti, anche coloro per i quali la procura di Locri, aveva chiesto gli arresti.

Buccini ha dato una lettura dei fatti piuttosto facile, certamente priva di cattiveria, ma sbagliata dal momento che non c’è stato nessun Robin Hood in salsa calabrese. Lucano non ha rubato neanche per distribuire agli immigrati. Se ciò che abbiamo detto è vero e lo è, Buccini dovrebbe domandarsi perché qualcuno ha tramato per distruggere “Riace” lanciando un missile a testata multipla per mandare in galera degli innocenti e dimostrare, una volta in più, che in Calabria non può nascere nulla che non sia ‘ndrangheta o malaffare.

Una tesi diffusa e che lo stesso Buccini nel suo libro “L’Italia quaggiù” sembra condividere quando definisce la Calabria: “... una terra di cui al Paese non importa nulla perché la considera irrimediabilmente perduta... e che al cronista ricorda Valona o Aruba”. È una brutta Calabria quella che vede Buccini anche se individua qualche speranza, per esempio, nell’impegno di tre valorose sindache impegnate contro la mafia. Anche in questo caso però l’autore avrebbe fatto bene a domandarsi come mai una delle tre sindache antimafia di cui parla nel suo libro, Carolina Girasole, sia stata arrestata, processata per intesa con la mafia e, dopo un lungo calvario, assolta perché completamente innocente.

La stessa cosa è successa a Lucano e in forme diverse a Otello Lupacchini, procuratore generale emerito di Catanzaro, all’ex presidente della Regione, Oliverio, all’ex vescovo di Locri Bregantini, e altri che non nomino ma per non danneggiarli. Ma soprattutto e innanzitutto è successo a migliaia di donne e uomini sconosciuti, spesso senza soldi e senza avvocato, ma che hanno vissuto l’inferno senza ricevere mai, né prima né dopo l’assoluzione, un solo gesto di solidarietà. Forse per questo lo scrittore Francesco Permunian, zio del sostituito procuratore che ha sostenuto l’accusa contro gli imputati di Riace aveva consigliato al nipote di “fuggire” da Locri.

Il dottor Permunian se ne è andato. Altri se ne sono andati, ma non se ne va chi la Calabria ama veramente. Non se ne vanno magistrati coraggiosi. Non fugge chi ritiene che questa terra bellissima e generosa meriti un destino migliore. Che non avrà, almeno finché ci limiteremo ad esprime solidarietà a singole vittime (considerando ogni storia, una storia a sé) invece di comprendere che bisogna rompere un sistema perverso che genera vittime e carnefici e pretende il sottosviluppo d’una parte importante del Paese.