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di Gian Domenico Caiazza

Il Riformista, 2 luglio 2023

La divulgazione di intercettazioni telefoniche che mettono brutalmente in piazza la privatissima vita dell’on. Miccichè, sebbene a costui non si contesti alcuna condotta penalmente illecita, almeno ci aiutano a mettere ordine nel surreale dibattito che si è aperto da alcuni mesi sul tema.

La premessa è tanto semplice quanto decisiva: le conversazioni di cui stiamo parlando sono riportate nella ordinanza di custodia cautelare eseguita a carico degli indagati, tra i quali un noto ristoratore siciliano che, nella ipotesi accusatoria, spaccerebbe droga, rifornendo, tra gli altri, anche l’on. Miccichè. Si tratta dunque di intercettazioni utilizzate dal giudice perché da questi ritenute rilevanti a sostegno della ipotesi accusatoria. Ed è innegabile che, in una indagine a carico di un presunto spacciatore, le telefonate che intercorrono con i presunti acquirenti costituiscano un elemento indiziario di rilievo decisivo. La conseguenza che dobbiamo trarne è altrettanto agevole: si tratta di intercettazioni utilizzate perché ritenute rilevanti dal Giudice e che pertanto, almeno nel loro sommario contenuto, sono tranquillamente pubblicabili, sia alla luce della normativa vigente, sia alla luce della appena licenziata (dal Governo) riforma Nordio.

Chi dovesse ritenere - a ragion veduta, aggiungo io - che questa pubblicazione costituisca una inaccettabile violazione della vita privata di un signore al quale non si addebita alcuna colpa, capirà ora bene che la prospettata riforma non risolve minimamente il problema. Eppure, non sarebbe difficile. Come? Beh, almeno onerando Pm e Gip dell’obbligo (disciplinarmente sanzionato) di “anonimizzare” nella richiesta di misura cautelare e nella ordinanza, la identità di soggetti non indagati e tuttavia necessariamente coinvolti nelle conversazioni ritenute rilevanti ed utilizzabili. Fermo restando, come è ovvio, il successivo dritto delle parti processuali di poter riservatamente identificare quei soggetti indicati con mere sigle, ai propri fini difensivi.

Qualunque altra fumisteria sulla tutela della privatezza dei c.d. “soggetti terzi” lascia il tempo che trova. Così pure scorrono come l’acqua sui sassi tutti i possibili nuovi divieti che ci si affanni ad immaginare, se non si mette seriamente mano all’unica cosa che invece nessun riformatore osa nemmeno sfiorare: una efficace sanzione della violazione dei divieti. Che oggi è - anche nella riforma Nordio - di una manciata di euro, cioè nulla. Né occorre immaginare inutili e discutibili sanzioni penali. Basterebbe una seria, robusta sanzione pecuniaria, accompagnata da sanzioni disciplinari incidenti sull’esercizio della professione, come accade in ogni altra professione: ammonizione, diffida, sospensione, radiazione, a seconda della gravita e della recidiva. Ma qui nessuno osa, con questa surreale conclusione: che da un lato si grida, senza un po’ di pudore e di senso del ridicolo, alle “leggi bavaglio” (due o trecento euro di sanzione al massimo); e dall’altra, si annunciano salvifiche quanto immaginarie riforme, finalmente a tutela della privacy e della riservatezza delle conversazioni. Di chi non si sa, ma dell’on. Miccichè no di sicuro.