sito

storico

Archivio storico

                   5permille

   

di Giancarlo Caselli

La Stampa, 18 luglio 2023

Il ministro della Giustizia lo definisce “un ossimoro” e Meloni pensa ad altro ma così dimezza l’Antimafia. Borsellino ha combattuto fino alla morte questo scempio, lui ora direbbe “c’è puzzo di compromesso”. Il 19 luglio ricorre l’anniversario della morte di Paolo Borsellino e dei poliziotti che erano con lui in via d’Amelio: Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina, Claudio Traina ed Emanuela Loi, una delle primissime donne assegnate a un servizio di scorta.

Questa orribile strage va ricordata per il clamoroso depistaggio che ha impedito a lungo un regolare processo, ma anche per il “pessimo affare” (copyright G. Bianconi) realizzato da Riina, facendo seguire all’attentato contro Falcone - dopo neanche due mesi e forse persino accelerandone l’esecuzione - quello contro Borsellino.

È la storia del 41 bis, norma prevista da un decreto legge varato dal Consiglio dei ministri l’8 giugno 1992, dopo Capaci, che scatenò una campagna ostile (contestazioni di avvocati penalisti e detenuti in rivolta), sicché la conversione in legge del decreto procedeva a rilento. Quando i tempi stavano ormai per scadere, solo dopo l’autobomba di via d’Amelio il Parlamento, a tappe forzate, riuscì a convertire il decreto in legge. Così, isolati e privati della forza del gruppo, i mafiosi si pentirono in massa e per Cosa nostra fu un grave problema. Effetto nefasto per Riina, il quale - riveleranno alcuni collaboratori - ripeteva che si sarebbe giocato anche i denti, volendo dire una cosa preziosa, per far cancellare legge sui pentiti e 41 bis.

Quest’anno però la ricorrenza ha rischiato e rischia di essere avvelenata dalle polemiche innescate da quel misto di Marchese del Grillo e don Chisciotte che a volte sembra voglia essere il Guardasigilli Nordio. Che contro il concorso esterno in associazione mafiosa si è esibito in ripetute esternazioni stupefacenti, sostenendo che si tratterebbe di un ossimoro perché “o si è esterni, e allora non si è concorrenti, o si è concorrenti e allora non si è esterni”. Quasi fosse il gioco delle tre carte, mentre la realtà è ben diversa: associati sono solo i “punciuti”, coloro che si autoproclamano uomini d’onore e giurano all’associazione un vincolo per la vita; i soggetti non associati che pongono in essere attività utili ai mafiosi doc - di solito uno scambio di “favori” illeciti - sono invece concorrenti esterni, puniti in base all’articolo 110 (che disciplina il concorso di persone in qualunque reato) e 416 bis (associazione mafiosa). Quindi nessun ossimoro, ma semmai logica e buon senso imperniati sulla conoscenza di fatti concreti e sulla storia della mafia.

È appunto nelle “relazioni esterne” l’architrave del potere mafioso, che proprio grazie ad esse impesta il nostro Paese da un paio di secoli, costringendo un intero popolo a subire infamie tremende che ne sfigurano la dignità.

Contro questo scempio ha combattuto fino al sacrificio Paolo Borsellino. È allora evidente che sostenere - come fa il ministro Nordio - che il reato di concorso esterno non compare nel codice penale ma è un reato (questo sì è un ossimoro!) evanescente da rimodulare, rischia di depotenziare l’antimafia ricucendola al contrasto dell’ala militar-gangsteristica, risparmiando i “galantuomini” che le assicurano coperture, complicità e collusioni e quindi buona e lunga vita. Un’antimafia a dir poco dimezzata, che di certo Borsellino avrebbe denunziato come un arretramento impregnato di quel “puzzo di compromesso morale, indifferenza e complicità - sono sue parole - che è la negazione di ogni seria e responsabile lotta alla mafia”.

È vero. La premier Giorgia Meloni è intervenuta sul concorso esterno dicendo: “Comprendo benissimo sia le valutazioni del ministro Nordio, sempre molto precise, sia le critiche che possono arrivare, però mi concentrerei su altre priorità”. Nordio si è subito allineato, ma ci tiene a rimarcare che sono vent’anni che studia il problema (tanto ci è voluto per partorire l’ossimoro).

Sarò incontentabile, ma a me sembra che Nordio ne esca non con la bocciatura secca che avrebbe meritato un vero e convinto sostegno dell’antimafia, ma con un semplice invito a posporre ad “altre priorità” l’attuazione delle sue “precise valutazioni”.

Tanto più che a favore di Nordio si sono schierati big della maggioranza come Guido Crosetto e Antonio Tajani. Sempre nella maggioranza, poi, sono con Nordio tutti gli orfani di Berlusconi, fedeli al “verbo” che il Cavaliere aveva rivelato in due interviste del 4 settembre 2003 alla Voce di Rimini e al periodico inglese The Spectator, cioè che “a Palermo la nostra magistratura comunista, di sinistra, ha creato un reato, un tipo di delitto che non è nel codice; è il concorso esterno in associazione mafiosa”, (forse era preoccupato per il processo all’amico Marcello dell’Utri, condannato con sentenza definitiva a sette anni di reclusione, proprio per il reato che non esiste…). Purtroppo, dunque, la vicenda non può dirsi conclusa.