di Davide D’Alessandro
huffingtonpost.it, 2 aprile 2023
Il presidente in pectore del Tribunale di Palermo, parla ai giovani laureandi di Giurisprudenza della Luiss e li invita a non smarrire la passione civile: “Troppo spesso in Italia si professa la politica del buttare la chiave”.
Non capita tutti i giorni che il Presidente in pectore del Tribunale di Palermo parli ai giovani laureandi di Giurisprudenza, a quelli che vengono definiti “i giuristi” di domani, a chi si ritroverà nelle Aule delle Istituzioni ad amministrare la giustizia o a legiferare sulla stessa. Eppure, ieri pomeriggio, presso l’Università Luiss, il magistrato Piergiorgio Morosini, sotto l’attenta regia della professoressa e avvocato Paola Balducci, a coronamento del corso di Processuale penale ed Esecuzione penale, prima ha ascoltato con estrema attenzione gli studenti mentre simulavano un procedimento di sorveglianza con tanto di arringhe e sentenza finale, poi si è rivolto loro con un discorso toccante, di rara umanità: “Mi congratulo per la preparazione, la professionalità, ma soprattutto per la passione con cui avete affrontato questi temi. Ritengo che la passione civile sia, soprattutto in questo momento storico, nella nostra società di oggi, un ingrediente fondamentale per affrontare materie che riguardano la persona, la dignità, la speranza di ogni detenuto. Ricordatevi che magistrati e avvocati hanno responsabilità notevoli. Le persone che incontrerete, che vorranno difendere i loro diritti nelle aule dei tribunali, non vi dimenticheranno mai, poiché vivranno esperienze irripetibili. Il cittadino non dovrà avere paura, ma fiducia nella vostra condotta. Vale per chi accusa, per chi difende e per chi giudica. Mi rendo conto che per una società che si fonda molto su profitti e bilanci, possa sembrare un discorso un po’ datato, ma il circuito giurisdizionale ha a che fare con le persone, con la loro dignità, con le loro speranze, con le loro paure. La passione civile del professionista è determinante”.
Morosini, autore di due libri di rilievo, “Il Gotha di Cosa Nostra” e “Attentato alla giustizia. Magistrati, mafie e impunità”, pur operando contro il crimine, non ha mai smarrito la consapevolezza di un pericolo, di un rischio fatale: opporre crimine a crimine, abisso ad abisso, male a male. Esiste il crimine, esiste il colpevole, esiste il condannato, esiste il detenuto, ma esiste anche la dignità di chi ha sbagliato, la tutela nei confronti della persona: “Il condannato è, per la nostra Costituzione, una persona di cui bisogna difendere la dignità del luogo in cui è detenuto. Pensate soltanto al tema dello spazio delle celle, alle metrature. Non è qualcosa di così scontato nell’Italia, nell’Europa e nel mondo di oggi. Il tutto è messo costantemente in discussione da molti attori pubblici. Dovete interrogarvi, anche durante la parte finale di questa esperienza accademica in una Università prestigiosa: perché accade questo nel dibattito pubblico, che finisce per influenzare le scelte legislative, dell’esecutivo e talvolta anche le tre comprensioni della magistratura che valuta i casi?
Non è un discorso che potete sottovalutare, quello del clima che si respira nel Paese di fronte a certi temi. Perché troppo spesso, nel nostro Paese, si professa la politica del “buttare la chiave”? Il carcere, inteso solo come luogo di contenimento, in modo che il detenuto non commetta altri reati e finisca per placare l’allarme sociale, purtroppo è un tratto permanente dell’esperienza penalistica italiana. Mario Sbriccoli, storico del diritto, che conoscerete, ha scritto sui tratti permanenti del sistema penale italiano.
Ci sono radici storiche che spiegano certi fenomeni. In Italia ci sono organizzazioni criminali che permangono da oltre 150 anni, finendo per definire lo specchio della fragilità del nostro paese. I fatti di sangue hanno contribuito a rafforzare la mentalità del “buttare la chiave”, ma noi abbiamo avuto un costituente che con lungimiranza ha guardato alla dignità e alla speranza di chi ha sbagliato, una speranza di ravvedimento e di reinserimento. Dobbiamo allora saper distinguere e attenerci a quanto ci è stato insegnato, a quanto vi viene insegnato, per far sì che ci sia fiducia e non paura nei confronti del vostro operato. Mi auguro, anzi sono certo, che la passione civile che avete dimostrato vi accompagni e vi guidi nella vostra ormai imminente professione. Non conta se da magistrati o da avvocati”.
Trasmettere l’applauso dei laureandi, l’emozione nei loro volti, le segrete speranze che hanno nel cuore, non è semplice. La professoressa Balducci ha ringraziato caldamente l’amico Morosini, gli ha fatto tanti auguri per il nuovo, complicato incarico e, rivolta ai giovani, con la loro stessa emozione, li ha salutati con una raccomandazione: “Non abbandonate mai i vostri sogni!”. Come non li ha mai abbandonati il magistrato, che torna a Palermo, città luminosa con un tribunale sempre esposto al carico di nuvole e di pioggia. Ma domani è un altro giorno anche per lui.