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di Paola Rossi

Il Sole 24 Ore, 2 aprile 2022

Il rimborso allo Stato di tali poste non ha natura afflittiva per cui non è sospesa l’esecuzione del pagamento se è sospesa la pena.

Gravano sul condannato le spese di custodia del bene sequestrato ancorché non ancora confiscato. Nel caso si trattava dei compensi dell’amministratore giudiziario per la gestione dell’azienda oggetto di confisca. Ma proprio il principio espresso dalla Cassazione - con la precedente sentenza di rinvio nella stessa vicenda - ha affermato che il generico riferimento alle spese di giustizia al cui pagamento è tenuto il condannato, ricomprende anche quelle di custodia del bene sequestrato a fini di confisca.

Il ricorso per cassazione, ora rigettato dalla sentenza n. 12214/2022, sosteneva in primis che tali spese dovessero gravare sulla società responsabile amministrativamente e non sui ricorrenti condannati per i reati ascritti. E che era illegittimo privarli dei frutti dell’azienda e imporgli il pagamento delle spese per la sua custodia giudiziaria. Ciò avrebbe determinato secondo i ricorrenti un illegittimo trattamento deteriore rispetto a chi è colpito da misure interdittive come quelle antimafia. La Cassazione ribadisce che l’accollo agli autori del reato commesso in favore della società discende dal principio espresso dalla stessa sentenza di legittimità rescindente che aveva indicato al giudice del rinvio di attenersi al principio espresso e che era affermativo dell’onere a carico dei condannati.

I ricorrenti ritenevano poi che le spese per la custodia del bene dovessero seguire e cioè venir meno per il riconoscimento della sospensione condizionale della pena. La Cassazione coglie l’occasione per chiarire che tali spese non hanno affatto natura assimilabile alla pena. Competendo il giudizio sull’an delle spese al giudice penale e quello sul quantum al giudice civile ne discende l’inconciliabilità tra tale determinazione e la pretesa natura “assimilabile a quella della pena” delle spese in questione.