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di Pasqualina Napoletano

Il Manifesto, 16 ottobre 2024

Commenti In questa situazione ampiamente fuori controllo e che può produrre esiti ancor più catastrofici, alcune iniziative sono preziose quale quella di alcuni parlamentari europei di dar vita a un intergruppo “Pace e disarmo” in seno al Parlamento europeo. Di giorno in giorno cresce il divario tra la gravità della situazione sugli innumerevoli fronti di guerra e la debolezza della risposta politica e sociale. Sembra di essere in un altro mondo rispetto a quell’aprile 2003 in cui su moltissimi balconi sventolava la bandiera della pace, eppure eravamo noi, e avevamo, appunto, il coraggio della pace.

La guerra, con tutto quello che si porta dietro, torna ad essere una opzione possibile nella testa di molti politici europei che pure, nel mettersi insieme, sembravano averla ripudiata e mai come oggi il detto latino: “Se vuoi la pace prepara la guerra” è stato così citato. Fino alla fine della Guerra fredda questo significava deterrenza, oggi, che la divisione in blocchi non c’è più, o almeno non nei termini novecenteschi, siamo andati oltre fino a sostenere: “Se vuoi la pace fai la guerra”. Molte inchieste ci dicono che questo non è il sentimento maggioritario nelle opinioni pubbliche europee, eppure, le risposte sono deboli e frammentate; non si può parlare, almeno fino ad ora, di un movimento degno di questo nome.

Cosa deve ancora succedere? Sul fronte russo - ucraino, avendo rinunciato a qualsiasi ipotesi di negoziato (colloqui del 2022 in Bielorussia e Turchia ampiamente documentati dalla rivista Foreign Affairs), si è imboccata la via della vittoria sul campo con dispendio di risorse umane ed economiche, fino alla constatazione che, dopo oltre due anni di guerra, essa è impossibile da raggiungere; di conseguenza, occorre un ulteriore salto che comporti il diretto intervento NATO nel territorio russo. A chiederlo anche la maggioranza del parlamento europeo con la risoluzione del 12 settembre scorso.

In Medio oriente, la risposta di Israele alla strage di civili perpetrata da Hamas il 7 ottobre 2023 rivela l’intento di voler risolvere una volta per tutte la “questione palestinese”. Per far questo, Netanyahu deve “neutralizzare” quella parte del mondo arabo e islamico che ancora ne sostiene la causa, per poi rinsaldare le sue relazione con i paesi con cui già aveva accordi di pace rinnovati ed ampliati dagli Accordi di Abramo.

Questo “nuovo ordine” a suon di bombe comporta l’invasione di un paese sovrano quale è il Libano; sfregiare quel che rimane del diritto internazionale e delle istituzioni che dovrebbero garantirlo; aprire un conflitto con l’ONU, prima dichiarando il suo Segretario generale persona non grata, per attaccare, poi, le postazioni UNIFIL ai confini tra Libano e Israele, presidio scomodo rispetto all’obiettivo di ripetere in quell’area la mattanza già compiuta a Gaza.

Negli Accordi di Abramo è compreso il destino dei palestinesi, mai riconosciuti come popolo, relegati in aree circoscritte e non comunicanti tra loro, circondate da muri di cui il più lungo seguirebbe l’intero corso del fiume Giordano, cui qualcuno vorrebbe, superando il surrealismo di Magritte, mettere il nome di Stato. Nel frattempo Israele potrebbe coronare il sogno di divenire uno Stato etnico, “lo Stato degli ebrei”, annettendo Giudea, Samaria (Cisgiordania) e l’intera Gerusalemme revocando, di conseguenza, la cittadinanza al resto dei cittadini non ebrei.

Di fronte a questa precisa e lucida follia - che spiega la spietatezza della risposta, compresa quella di accettare il massacro e la mutilazione di migliaia e migliaia di bambini palestinesi come danno collaterale - gli appelli alla moderazione sono acqua fresca anche perché fino a ora non accompagnati da alcuna reale e convincente pressione, mentre passa in secondo piano la vita dei rimanenti ostaggi e Netanyahu sembra perfino recuperare il consenso perduto. In questa situazione ampiamente fuori controllo e che può produrre esiti ancor più catastrofici, alcune iniziative sono preziose quale quella di alcuni parlamentari europei di dar vita a un intergruppo “Pace e disarmo” in seno al Parlamento europeo. Seppure minoranza, 131 deputati europei hanno votato contro la Risoluzione citata e 63 si sono astenuti; quasi tutti i gruppi politici europei si sono divisi. È tempo di unire le forze e provare a costruire anche nel Parlamento europeo un punto di riferimento politico che abbia come scopo la pace e il disarmo. Esso potrebbe interloquire con i tanti movimenti, prevalentemente giovanili, che in Europa esistono ma che hanno poca udienza da parte della politica sempre più istituzionalizzata e autosufficiente; ma anche cercare interlocutori che la politica dei governi europei esclude dai propri orizzonti.

In passato, in più occasioni, quel Parlamento ha svolto un ruolo a partire proprio dagli “intergruppi”; penso a come nacque il progetto di Costituzione Europea promosso da Altiero Spinelli, alla lotta contro l’apartheid in Sudafrica, contro l’embargo a Cuba, e si potrebbe ancora continuare; ma, a proposito di Israele e Palestina, non si possono dimenticare i discorsi tenuti al Parlamento europeo da Abu Ala e Avrham Burg (rispettivamente presidenti dell’Assemblea legislativa palestinese e della Knesset). Di tutto questo si è parlato nella tre giorni fiorentina dell’associazione “il coraggio della Pace disarma” con contributi che, messi insieme, costituiscono un patrimonio importante per la crescita di un movimento che voglia costruire una alternativa rispetto alla palude mortifera in cui rischiamo di sprofondare tutti.