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di Simona Musco

Il Dubbio, 10 agosto 2024

Dall’abolizione dell’abuso d’ufficio all’interrogatorio preventivo: ecco tutte le misure. E intanto la maggioranza cerca una soluzione all’emergenza carceri. Sergio Mattarella, alla fine, ha firmato il ddl Nordio, rendendo ufficiale l’addio all’abuso d’ufficio. Il Capo dello Stato ci ha messo 30 giorni, non solo per i vari impegni istituzionali dell’ultimo mese - dalla visita di Stato in Brasile alle Olimpiadi in Francia -, ma anche e soprattutto per studiare attentamente ogni minima parte della riforma approvata il 10 luglio scorso alla Camera con 199 sì e 102 no. Una legge che ha allargato la crepa tra magistratura associata e governo e fatto salire sulle barricate le opposizioni, sicure che senza l’abuso d’ufficio la legislazione italiana rimarrà indietro nella lotta alla corruzione rispetto al resto d’Europa.

La firma è stata preceduta da tensioni e strumentalizzazioni, alle quali il Colle, come sempre, si è sottratto evitando di alimentare ogni tipo di retroscena. A partire dalla volontà di indicare come un “ritardo” la scelta di prendersi tutto il tempo a disposizione per firmare. Le prime voci erano partite, come raccontato dal Dubbio nelle scorse settimane, a fine luglio: tra i corridoi del Consiglio superiore della magistratura, di cui Mattarella è Presidente, circolava infatti l’indiscrezione che ci sarebbe stato addirittura di un rinvio alle Camere della norma, opzione che il Quirinale, interpellato dal Dubbio, ha subito smentito. Così come ha smentito l’ipotesi di una lettera, con la quale comunicare alle Camere eventuali osservazioni ad esempio sulla possibile violazione della convenzione di Merida. È proprio a quella convenzione che si aggrappano i critici: abolire l’articolo 323 del codice penale, affermano, metterebbe l’Italia a rischio infrazione. Ma la Convenzione non pare sancire un vincolo assoluto, dal momento che l’articolo 19 richiede agli Stati aderenti soltanto di “considerare” l’adozione della fattispecie di “abuso di funzioni”, senza imporre alcun obbligo, come per la corruzione. Il problema si sarebbe posto, invece, rispetto alla direttiva Pif, che richiede la presenza del reato di appropriazione e distrazione di denaro e altri beni, a danno degli interessi finanziari dell’Ue, prima coperto dall’abuso d’ufficio. Da qui l’inserimento, nel dl Carceri, del peculato per distrazione, che dovrebbe tamponare il problema. Un decreto sul quale Mattarella ha apposto la sua firma nel giro di 24 ore, alimentando un altro retroscena: quello secondo cui il Capo dello Stato avrebbe tentato di garantire una staffetta tra il reato abolito e quello “recuperato”, per non lasciare alcun vuoto di tutela. Ma anche questa interpretazione è stata smentita seccamente dal Quirinale: tutto, confermano foti del Colle, si sarebbe svolto secondo prassi o messaggio subliminale.

Le novità introdotte dal ddl Nordio impatteranno in maniera significativa sul sistema penale. Non solo per l’abolizione dell’abuso d’ufficio - che comporterà la revoca di circa 3.600 condanne già definitive, salvo possibilità di riconfigurare un altro reato -, ma anche in un’ottica - almeno nelle intenzioni del ministro - di alleggerimento sul sistema carceri. Soprattutto attraverso due punti del ddl: l’interrogatorio preventivo e il gip collegiale. Nel primo caso, è previsto un momento di interlocuzione diretta tra indagato e giudice prima della misura cautelare, introducendo il principio del contraddittorio preventivo nei casi in cui, per il tipo di reato o per la concretezza dei fatti, durante le indagini preliminari non sia necessario “l’effetto sorpresa” del provvedimento. Il giudice procede dunque all’interrogatorio prima di disporre la misura, previo deposito degli atti, con facoltà della difesa di averne copia. Ciò non sarà però possibile nei casi in cui sussista un pericolo di fuga o di inquinamento delle prove o quando, per tipologia di reati, non è possibile rinviare la misura cautelare (quando, ad esempio, vi sia il rischio di reiterazione di gravi delitti con uso di mezzi di violenza personale o in tutti i casi in cui si è in presenza di delitti gravi). La seconda novità, invece, introduce la decisione collegiale per l’adozione della custodia cautelare in carcere nel corso delle indagini preliminari. Ma dato l’impatto sull’organizzazione dei Tribunali, soprattutto per le incompatibilità dei tre giudici rispetto alle successive fasi del processo, l’entrata in vigore è prevista nel 2026, per consentire un aumento dell’organico con 250 nuovi magistrati, da destinare alle funzioni giudicanti.

Le novità sono però anche altre: la riforma interviene infatti anche sul reato di traffico di influenze, limitando la sanzione penale a “condotte particolarmente gravi” ed eliminando l’ipotesi della “millanteria”, mentre la pena minima viene innalzata da un anno e sei mesi a quattro anni e sei mesi. Ma non solo: l’intervento prevede una stretta alla pubblicazione delle intercettazioni a tutela del terzo non indagato, con il divieto di pubblicazione, anche parziale, del contenuto delle captazioni, salvo che non sia riprodotto dal giudice nella motivazione di un provvedimento o utilizzato nel corso del dibattimento. Con un emendamento durante l’iter in Senato, è stato incorporato nel testo un disegno di legge del senatore di Forza Italia Pierantonio Zanettin che vieta l’acquisizione di ogni forma di comunicazione, anche diversa dalla corrispondenza, intercorsa tra l’imputato e il proprio difensore, salvo che l’autorità giudiziaria abbia fondato motivo di ritenere che si tratti di corpo del reato. Infine, la riforma limita il potere di impugnazione del pubblico ministero, rispettando però le indicazioni della Corte costituzionale, che aveva già bocciato in passato la legge Pecorella. La limitazione alla possibilità per il pm di proporre appello non riguarda i reati più gravi (compresi quelli contro la persona che determinano particolare allarme sociale), non è né “generalizzata” né “unilaterale”, tenendo conto dei limiti del potere di appello anche dell’imputato introdotti dal Dlgs n. 150 del 2022. Limiti all’appello, di fatto, solo per i reati a citazione diretta a giudizio (ex art. 550 cpp). Insomma, commenta Bartolomeo Romano, consigliere giuridico del guardasigilli, “una riforma nel segno del garantismo che ora sarà pubblicata in Gazzetta Ufficiale”.

Tutti questi elementi si inseriscono in un quadro ben preciso, che il ministro della Giustizia Carlo Nordio ha anticipato mercoledì a Palazzo Chigi, dove la presidente del Consiglio Giorgia Meloni ha convocato i ministri e i responsabili giustizia dei partiti di governo per discutere dell’emergenza carceri, a dimostrazione del fatto che il dl in quel momento in fase di approvazione alla Camera non fosse risolutivo. L’intenzione del ministro, così come annunciato con una nota ufficiale, è - tra le altre - quella di limitare l’utilizzo delle misure cautelari, influendo in tal modo anche sul sovraffollamento. E di questo, a settembre, parlerà direttamente con Mattarella, al quale ha annunciato di voler fare visita probabilmente proprio per avere la sua benedizione. Ma un’idea vera, al momento, non ci sarebbe. C’è il parere favorevole - con riformulazione del governo - all’odg di Enrico Costa, che impegna l’Esecutivo a una rimodulazione delle norme sulla custodia cautelare, con particolare riferimento alla reiterazione del reato. C’è l’intenzione di proporre al Consiglio superiore della magistratura la copertura di organico per la magistratura di sorveglianza, garantendo procedure agili e veloci per il completamento della pianta organica degli amministrativi presso i Tribunali di sorveglianza. Ma nessuna proposta concreta contro il sovraffollamento, fanno sapere esponenti della maggioranza. “C’è molta confusione, molta nebulosità”, spiega una fonte interna ai partiti di governo. “Al momento ci sono poche idee e qualcuna pure confusa”.

Così, nel clima di incertezza, Forza Italia si è fatta avanti, ricordando di aver già una proposta, quella a firma di Tommaso Calderone, raccontata nei giorni scorsi in esclusiva proprio sul Dubbio: nei casi di rischio di reiterazione, recita la proposta, “l’esigenza cautelare è riesaminata, anche d’ufficio, decorsi sessanta giorni dall’applicazione della misura. In assenza di nuove esigenze cautelari, desumibili da atti e fatti concreti e attuali, diversi e ulteriori rispetto a quelli sulla cui base è stata disposta la misura, il giudice ne dispone la revoca, ovvero la sostituzione con altra misura meno afflittiva”. Ad eccezione dei reati ostativi e a sfondo sessuale, quelli che destano maggiore allarme sociale. Gli azzurri hanno proposto di lavorare su quella proposta, l’unica effettivamente in campo. “Ma di idee vere contro il sovraffollamento - continua la fonte - al momento non ce ne sono”. Toccherà attendere settembre, quando il caldo, con ogni probabilità, avrà ormai trasformato le carceri in vere e proprie polveriere.