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di Damiano Aliprandi

Il Dubbio, 2 aprile 2024

Nell’ambito di un procedimento penale presso il Tribunale per i Minorenni di Trento, è stata emessa un’ordinanza che ha destato grande interesse e dibattito. Parliamo dell’ordinanza del 6 marzo scorso che ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 27 bis D. P. R. n. 448/ 1988 (disposizioni sul processo penale a carico di imputati minorenni), recentemente introdotto dal “decreto Caivano”. Il caso che ha portato a questa ordinanza ha origine da una lite familiare, avvenuta il 15 ottobre 2023, in cui un minore avrebbe minacciato il padre con un coltello preso dalla cucina. Nell’ordinanza si evidenzia la preoccupazione del Giudice per la composizione monocratica dell’organo giudicante, che potrebbe compromettere la valutazione educativa del minore. Si sottolinea inoltre che l’art. 27bis non regola in modo adeguato le criticità connesse con la disciplina trattamentale dei minori coinvolti in procedimenti penali. La decisione di sospendere il processo e sottoporre la questione alla Corte costituzionale è stata presa alla luce di queste criticità, che potrebbero compromettere i principi fondamentali del trattamento dei minori coinvolti in reati.

In sostanza, il Giudice ha ritenuto che tale disposizione sollevi dubbi di costituzionalità in relazione agli articoli 3 e 31, II comma, della Costituzione italiana. In particolare, ha evidenziato che l’art. 27 bis prevede per il minore sottoposto a procedimento penale una risposta giurisdizionale di tipo sanzionatorio piuttosto che educativo, andando contro quanto richiesto dall’art. 31, II comma, della Costituzione. Quest’ultimo articolo sottolinea che qualsiasi trattamento punitivo nei confronti di un minore deve essere sorretto, animato e orientato da fini educativi. Inoltre, il giudice ha rilevato che la disciplina dettata dall’art. 27 bis potrebbe compromettere quegli strumenti necessari per garantire un approccio personalistico indispensabile per assicurare al trattamento giurisdizionale minorile la sua finalità educativa. Questo potrebbe portare a una mancata tutela dei diritti e delle esigenze specifiche dei minori coinvolti in procedimenti penali. Pertanto, il giudice ha ritenuto che l’articolo introdotto dal Decreto Caivano solleva questioni di incostituzionalità in quanto potrebbe non essere in linea con i principi costituzionali che sottendono al trattamento dei minori autori di reati, come la necessità di un approccio educativo e riabilitativo.

Nel caso specifico, il minorenne è stato oggetto di indagini per il reato di minaccia aggravata dall’uso di un’arma (articoli 612 e 339 del codice penale). Successivamente, il pubblico ministero minorile ha proposto una definizione anticipata del procedimento, offrendo la possibilità di redigere un programma rieducativo entro un termine di 60 giorni. La difesa del minore ha richiesto una proroga del termine per permettere una migliore comprensione delle esigenze del giovane, date le circostanze familiari delicate. Tuttavia, il pm ha respinto la richiesta, sostenendo che la legge non consenta proroghe per il deposito del programma rieducativo.

Di fronte al rifiuto, la difesa ha presentato un progetto rieducativo elaborato in collaborazione con il Servizio Sociale, prevedendo attività di volontariato presso un centro di aggregazione territoriale. Il giudice per le indagini preliminari, dopo aver ricevuto il programma proposto, ha programmato un’udienza per deliberare sull’ammissione del minore al percorso di reinserimento e rieducazione. Eppure, si sono evidenziate carenze nell’analisi del programma, mancando informazioni cruciali per valutare la sua efficacia educativa. La composizione monocratica del giudice ha impedito di integrare queste lacune attraverso una valutazione più personalizzata e educativa. Si è ritenuta critica la mancanza di soluzioni previste dalla legge nel caso di inadeguatezza del programma proposto.

Queste problematiche non riguardano solo questo caso specifico ma sollevano interrogativi sulla disciplina generale dell’istituto previsto dalla legge, il quale sembra privilegiare una risposta di natura punitiva piuttosto che educativa. Ciò potrebbe portare a disparità di trattamento tra i minori coinvolti in situazioni simili. L’ordinanza in questione sottolinea un punto fondamentale: dietro ad un reato, anche se non particolarmente grave o severamente punito dalla legge, possono celarsi profondi bisogni educativi del giovane autore del gesto. In questo contesto il reato diven- ta un’opportunità per individuare e affrontare il disagio giovanile, adottando misure che, seppur includano anche aspetti punitivi, mirano sia a contrastare comportamenti devianti che a soddisfare le esigenze educative del minore.

Solo quando il processo penale minorile diventa uno strumento per emancipare il giovane dalle cause che lo hanno portato a commettere il reato, si realizzano appieno i principi costituzionali che vedono lo Stato impegnato a proteggere la gioventù e a rimuovere gli ostacoli sociali ed economici che limitano la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, ostacolando così lo sviluppo pieno della persona umana. Tuttavia, a causa del principio di celerità nel raggiungimento delle decisioni giudiziarie, si è scelto di escludere il coinvolgimento dei giudici onorari esperti, i quali potrebbero fornire una valutazione più approfondita e multidisciplinare del giovane autore del reato. Questa responsabilità è stata affidata esclusivamente al giudice monocratico, al quale potrebbe mancare di una visione più ampia e privata della diversità di prospettive offerta dalla collegialità.

La mancanza di informazioni complete sul minore e l’assenza di esperti nel processo decisionale impediscono di garantire la piena efficacia educativa della risposta trattamentale prevista dall’articolo 27 bis. Inoltre, questo porta a far emergere una funzione più retributiva che educativa del processo, come evidenziato dall’analisi dettagliata condotta dal giudice sulla procedura nel suo complesso, dalle fasi iniziali fino alla valutazione finale al termine dell’osservazione del minore. Di conseguenza, la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 27 bis del Decreto del Presidente della Repubblica n. 448/ 1988, in relazione agli articoli 3 e 31, comma 2, della Costituzione, è stata ritenuta degna di approfondimento. Il Decreto Caivano, nato sotto l’onda emozionale scaturita da un grave fatto di cronaca, ha introdotto logiche che rischiano di intaccare la giustizia minorile, nostro fiore all’occhiello. Ora la parola passa alla Consulta.