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di Mario Iannucci*

quotidianosanita.it, 26 febbraio 2024

Rems, Atsm, suicidi in carcere e l’inesorabile declino delle competenze. Ormai da anni non provo più alcuna meraviglia di fronte alla constatazione che, le considerazioni più o meno teoriche su taluni argomenti, vengano espresse da professionisti i quali, di quegli argomenti, non hanno alcuna esperienza clinica. E che conoscono molto sommariamente la materia sulla quale esprimono il loro parere. Cercherò dunque, a partire dalla mia lunga esperienza clinica nel campo, di fare un po’ di chiarezza sulla spinosa questione del disagio psichico “detenuto” e “internato”, vale a dire sull’impressionante percentuale di malati psichici gravi che popolano le nostre galere, sulle Rems (Residenze per l’Esecuzione delle Misure di Sicurezza detentive) e sulle Atsm (Articolazioni carcerarie per la Tutela della Salute Mentale).

Cominciamo dalle Rems. Nell’ultimo Rapporto del Garante Naz. delle Persone Private della Libertà (giugno 2023), si legge che i ricoverati (ora occorre denominarli così, poiché le Rems sono unicamente a gestione sanitaria; non bisogna più denominarli internati, anche se giuridicamente lo sono) nelle Rems erano 632, mentre le persone con sentenza definitiva o provvisoria di internamento e in attesa di entrare nelle Rems erano 675. Di queste ultime 42 erano detenute in carcere: detenute illegittimamente, con sentenze CEDU che condannano tale detenzione.

La necessità urgente di rivedere il sistema delle Rems e dell’internamento detentivo dei pazienti prosciolti per vizio di mente e socialmente pericolosi è stata indicata con molta chiarezza nella sentenza 22/2022 della Corte Costituzionale, la quale, con l’ottimo giudice redattore, Francesco Viganò, non ha potuto dire che la L. 81/2014 (quella finale di istituzione delle Rems) era anticostituzionale, perché da una simile pronuncia sarebbe derivata “l’integrale caducazione del sistema delle Rems, che costituisce il risultato di un faticoso ma ineludibile processo di superamento dei vecchi OPG”, con la conseguenza di “un intollerabile vuoto di tutela di interessi costituzionalmente rilevanti”. Ma la Corte Costituzionale, con la sentenza del febbraio 2022, ha peraltro “rivolto il monito al legislatore affinché proceda, senza indugio, a una complessiva riforma di sistema, che assicuri assieme: a) un’adeguata base legislativa alla nuova misura di sicurezza; b) la realizzazione e il buon funzionamento, sull’intero territorio nazionale, di un numero di Rems sufficiente a far fronte ai reali fabbisogni, nel quadro di un complessivo e altrettanto urgente potenziamento delle strutture sul territorio in grado di garantire interventi alternativi adeguati alle necessità di cura e a quelle, altrettanto imprescindibili, di tutela della collettività; c) forme di idoneo coinvolgimento del ministero della Giustizia nell’attività di coordinamento e monitoraggio del funzionamento delle Rems esistenti e degli altri strumenti di tutela della salute mentale degli autori di reato”.

Sono passati due anni (altro che “indugio”!) dalla sentenza della Corte Costituzionale, ma nessuno ha fatto niente per rendere davvero costituzionali le norme sull’internamento giudiziario dei prosciolti pericolosi. C’è chi propone, come soluzione, l’ampliamento di circa 40 posti nelle Rems di tutta Italia. Ci sono 675 pazienti pericolosi in lista di attesa per l’ingresso nelle Rems e si pensa che un ampliamento di 40 posti letto possa risolvere il problema.

C’è chi attribuisce il presunto aumento (solo apparente, in verità) degli autori di reato prosciolti per vizio totale o parziale di mente, alla sentenza 9163/2005 (cosiddetta sentenza Raso) delle sezioni penali unite della Corte di Cassazione. Molti di coloro che criticano tale sentenza danno l’impressione di non averla mai letta. Si tratta invece di una bellissima sentenza. Cosa dice tale sentenza? Dice che all’incirca un terzo di coloro che, all’esterno, vengono ricoverati nei SPDC, sono diagnosticati come affetti da gravi Disturbi della Personalità. La competenza psichiatrica nella cura di tali gravi disturbi è dunque innegabile (sappiamo che, qualche anno dopo, persino il DSM-5 non ha più fatto distinzione fra malattie e disturbi psichiatrici). I Disturbi di Personalità secondo tutte le classificazioni internazionali delle malattie mentali, non comprendono solo il Disturbo Antisociale di Personalità, che rappresenta anzi una percentuale minore di tali disturbi. La sentenza 9163/2005 ha dunque stabilito che i gravi disturbi di personalità (magari quando uniti a un disturbo da abuso/dipendenza da sostanze: nel nostro Codice Penale nessuno ha mai abolito l’art. 95, che equipara la cronica intossicazione da alcool o da sostanze stupefacenti alle patologie mentali che possono configurarsi come “vizi di mente”), quando tali disturbi contraggono un legame causale con la commissione del reato, possono essere equiparati alle altre “infermità” che, a norma degli artt. 88 e 89, determinano un vizio totale o parziale di mente. A me, poiché parto da una lunga esperienza clinica, le conclusioni di tale sentenza appaiono logiche e incontestabili.

Non è poi in alcun modo vero che tale sentenza costituisca una peculiarità della legislazione italiana: in molti paesi europei, ormai da molti anni, la “diversion” (il trattamento dei pazienti psichiatrici in ambito specialistico e non nelle carceri comuni) si applica correntemente anche ai pazienti affetti da disturbi della personalità. La “diversion” viene applicata non solo perché più efficace, ma anche perché più conveniente da un punto di vista economico (il trattamento è meno costoso e le recidive sono minori). Solo negli USA non esiste il “proscioglimento per vizio di mente”: i pazienti autori di reato, anche se hanno commesso gravissimi reati (magari mass murders) in preda a palesi e profonde turbe psichiche, vengo magari curate finché non hanno recuperato una sufficiente “capacità processuale”, ma vengono poi condannati come tutte le altre persone. Anche qui in Italia c’è chi sostiene l’abolizione del “doppio binario”. Consideriamo però che in America il tasso di detenzione è 8 volte superiore a quello italiano e che, su quasi 2,5 milioni di detenuti nelle carceri federali e locali, all’incirca il 20 % (vale a dire 500.000!) sono affetti da patologie psicotiche (schizofrenie, disturbi deliranti, disturbi depressivi e bipolari, senza contare i gravi disturbi di personalità e le tossicodipendenze).

Nelle carceri, non solo in quelle italiane, i detenuti affetti da patologie psichiatriche “maggiori” raggiungono percentuali che, a seconda delle varie ricerche scientifiche nazionali e internazionali, si aggirano su quelle degli Stati Uniti. Vorrei davvero sapere se qualcuno dei Colleghi che propongono di effettuare in carcere la cura dei pazienti psichiatrici che manifestano elementi di pericolosità sociale, abbia mai lavorato all’interno di un carcere ordinario (una casa circondariale o di reclusione). Io vi ho lavorato per decine di anni, sforzandomi di garantire, all’interno di quei luoghi e in collaborazione con tutti i Colleghi e gli Operatori di buona volontà, qualche “miracolosa” opportunità trattamentale. Ma sapendo che tali opportunità andavano costruite/ricostruite con immensa fatica, come una tela di Penelope che non era guastata da noi ma dal sistema.

Sforzandomi di garantire appena possibile, a questi pazienti molto sofferenti, possibilità esterne di cura, alternative al carcere, adottando magari forme di “coazione benigna” non carcerarie (col Presidente Margara ci siamo battuti per le misure alternative alla detenzione). Ma nel carcere, oramai, anche gli Operatori Sanitari non vogliono più andare a lavorare (alle Vallette di Torino, l’estate scorsa, diversi medici hanno dato le dimissioni e, nel Lazio, un concorso per Operatori Sanitari penitenziari è andato deserto). Così i suicidi nelle carceri aumentano in maniera impressionante (circa 90 nel 2022, un po’ meno nel 2023 e 23 in questi primi cinquanta giorni del 2024, con un tasso di suicidalità, in carcere, che è di circa 20 volte superiore all’esterno). E c’è magari chi pensa che il problema della sofferenza mentale reclusa, davvero impressionante per quantità e profondità, possa essere affrontata dalle Atsm, come se le 34 Atsm sparse nelle carceri italiane, con meno di 300 detenuti in toto, fossero la risposta al problema!

Per favore, cerchiamo di trattare questi temi scottanti con competenza e senza avanzare proposte assolutamente inefficaci, come se il gravissimo problema della follia reclusa e internata si risolvesse con 40 posti in più nelle REMS, oppure mandando in carcere i mentally ill offenders socialmente pericolosi o con tratti di disturbo antisociale di personalità.

*Psichiatra psicoanalista, esperto di Salute Mentale applicata al Diritto