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di Micol Vallotto

Famiglia Cristiana, 13 giugno 2023

Sono da poco iniziate le riprese della quarta stagione, che sulla scorta delle prime tre si preannuncia carica di aspettative. Ma cos'ha di speciale questa serie? Lo abbiamo chiesto al professore Massimo Scaglioni, esperto in media e audiovisivi e docente dell'Università Cattolica di Milano.

Sono iniziate il 22 maggio 2023 le riprese della quarta stagione di Mare fuori, la serie firmata Rai Fiction e Picomedia che in pochissimo tempo si è imposta come “must-watch” nel panorama italiano e internazionale. La storia, ormai nota ai più, ruota attorno ai giovani detenuti dell’immaginario IPM di Napoli (nella realtà, si trova a Nisida), che mentre scontano le pene per i reati commessi sognano di raggiungere la libertà, rappresentata dal mare al di fuori delle sbarre. Ma a cosa si deve l’enorme successo? Ne abbiamo parlato con Massimo Scaglioni, docente di Storia dei media e di Economia e marketing dei media e delle industrie creative, nonché direttore del Ce.R.T.A. (Centro di Ricerca sulla Televisione e gli Audiovisivi) dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano.

Professore, la prima domanda è anche la più banale: può dirci qual è l’ingrediente segreto che rende Mare fuori così magnetico?

“Direi che gli ingredienti sono due: il realismo e la capacità di entrare in connessione con i giovani. Rappresentare in maniera convincente gli adolescenti è la sfida di qualunque prodotto che rientri nel genere del “teen drama”, ma non sempre si è in grado di farlo. In questo caso, invece, Mare fuori è davvero riuscito a trovare un modo di parlare ai ragazzi: non è così banale, se consideriamo che si tratta di una storia carceraria”.

Eppure Mare fuori non è l’unica serie incentrata su adolescenti problematici: penso alle serie degli anni 2000 come Skins, o a quelle più recenti quali Skam e Euphoria. Qual è la differenza?

“Il teen drama racconta per definizione l’adolescenza, che è sempre in qualche modo fatta di problemi e conflittualità anche con il mondo adulto. Mare fuori, però, lo fa in maniera molto originale, perché racconta di un carcere minorile. Per quale ragione i ragazzi si sono sentiti rappresentati da questi individui, che vivono in prigione? La risposta che mi sono dato io è che Mare fuori sia una serie post-pandemica, dove si percepisce moltissimo l’atmosfera di una realtà giovanile che paradossalmente ha bisogno di protezione. Man mano che la storia procede, infatti, il carcere passa da essere un posto di costrizione a una specie di luogo sicuro dove costruire relazioni autentiche, sia con i propri pari, sia con le figure degli educatori: c’è una dimensione valoriale che è presente nonostante il realismo, la crudezza, e a volte la morte”.

Quanto è stato determinante, per il successo della serie, il passaggio dalla piattaforma Rai Play a Netflix?

“Moltissimo, perché i giovani hanno abitudini di fruizione degli audiovisivi diverse da quelle dei grandi. Quando le prime due stagioni sono andate in onda su Rai 2, Mare fuori ha avuto un riscontro di pubblico abbastanza classico: la maggior parte degli spettatori erano persone adulte. La mossa - non so se strategica o del tutto casuale - di cedere i diritti per il passaggio delle due stagioni a Netflix ha effettivamente generato, attraverso il passaparola, una grande attenzione da parte del pubblico adolescente, che oltre a non avere nel proprio radar la Rai come brand, è molto più abituato allo streaming. Il successo della serie ha poi convinto la Rai a sfruttare al meglio l’uscita della terza stagione, trasmettendola in anteprima su RaiPlay e solo successivamente sul canale tradizionale: in questo modo, ha spinto circa due milioni di spettatori giovani a scoprire la piattaforma di streaming di Rai, fino a quel momento poco conosciuta”.

A proposito di adolescenti: sono state sollevate delle critiche alla serie, in quanto si teme che vi sia un’eccessiva immedesimazione dei ragazzini nelle dinamiche che vengono riprodotte e che in qualche modo il fascino della “vita facile” abbia presa su di loro. È effettivamente un rischio che si corre?

“Ci potrebbero essere varie risposte, ma dal mio punto di vista prevale la dimensione del carcere come luogo nel quale di riscoprono dei valori positivi. Non vedo una deriva alla Gomorra, né una realtà in cui è desolatamente assente qualunque forma di bene, anzi: le storie alla fine sono storie di riscatto, di costruzione di valori con i propri pari e in parte di crescita in relazione alle figure adulte, che non sono tanto quelle della famiglia quanto piuttosto quelle degli educatori”.

Il format è quello continuativo della serie, che a differenza di un film ha confini molto più dilatati e una lunghezza più estesa. Che ruolo ha giocato, questo, in termini di approfondimento della storia e di affezione del pubblico ai personaggi?

“Direi un ruolo fondamentale, perché il luogo per eccellenza di Mare fuori - il carcere - diventa il contenitore di tutte le storie che si sviluppano nelle diverse stagioni. Da tanti anni, grazie a molte ricerche, sappiamo che la serialità e la pluristagionalità sono gli elementi che costruiscono la fidelizzazione e l’affezione del pubblico: i personaggi non sono più solo i protagonisti di una serie, ma diventano delle figure familiari. A volte gli attori “escono dallo schermo”, perché sono presenti anche sui social media, oppure perché prestano la propria voce alla colonna sonora: è una fidelizzazione che possiamo quasi chiamare transmediale”.

Anche le storie d’amore della serie e le guerre tra famiglie rivali sembrano avere una presa fortissima sul pubblico...

“Mare fuori è un racconto nuovo, fresco, contemporaneo, ma sottotraccia nasconde gli schemi narrativi classici che funzionano sempre: è evidente, ad esempio, il richiamo a Romeo e Giulietta. Sotto alla superficie della criminalità e del carcere, dunque, la serie racconta vicende che sono universali: del resto, la tragedia shakespeariana è il primo teen drama della storia”.

Una domanda dal punto di vista della comunicazione: la bellezza estetica dei protagonisti ha il suo peso?

“Sì, è un elemento che conta sempre molto in tv e nei prodotti seriali di fiction. I protagonisti diventano dei punti di riferimento, anche dal punto di vista estetico e dello stile. L’iconicità dei personaggi è un elemento centrale per un teen drama, e si ricollega al discorso sul realismo: se non ci fosse la capacità di raccontare il presente degli adolescenti in tutte le sue sfaccettature, difficilmente si entrerebbe in sintonia con il pubblico”.