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di Maria Antonietta Farina Coscioni*

La Stampa, 7 giugno 2022

Un paradosso tutto italico; ci sarebbe da sorriderne, pur a denti stretti, non fosse che ci sono persone che soffrono in modo atroce, che ci sono sentimenti crudelmente oltraggiati. Una vicenda kafkiana che neppure l’autore de “Il Castello” e delle “Metamorfosi” avrebbe saputo congegnare: c’è un diritto che si può esercitare, ma chi lo vuole esercitare non ne ha il diritto.

Il caso è quello di Fabio Ridolfi, 46enne di Fermignano, in provincia di Pesaro; da ben 18 anni è immobilizzato, a causa di una tetraparesi. Fabio ha scelto di porre fine alle sue sofferenze tramite la sedazione profonda e continua. È una pratica consentita in Italia. Ne ha fatto ricorso, per esempio, Marina Ripa di Meana: voleva andare in Svizzera per porre fine a una sofferenza insopportabile e senza scampo; quando l’ho informata che aveva questa possibilità ha scelto questa strada che ignorava. Già questo è un primo problema: non tutti sono informati, sono a conoscenza di questa facoltà-diritto.

Fabio vuole invece fare ricorso al suicidio medicalmente assistito. Desidera che la famiglia, gli amici, non debbano assistere e soffrire in attesa che la sedazione faccia il suo corso definitivo. Vuole fare subito, in pochi minuti, invece di attendere qualche giorno. Senza entrare nel merito della decisione, fatto è che dopo una lunga e penosa battaglia questo (suo) diritto gli viene riconosciuto. Qui entra in campo il paradosso kafkiano: può farlo, ma di fatto glielo si impedisce. Il Servizio sanitario regionale delle Marche comunica con oltre un mese di ritardo il parere del Comitato Etico con il via libera per l’aiuto medico alla morte volontaria; ma non indica il parere sul farmaco e le modalità di somministrazione. Il tempo passa e le miopie burocratiche rendono impraticabile il suicidio assistito. Fabio deve rinunciare alla via “breve” per porre fine alle sue sofferenze, e giocoforza far ricorso a quella più “lunga”. Perchè? Ipocrisia? Indifferenza verso chi soffre, malato e famiglia? Vocazione tutta italica al lezioso cavillo? Il voler a tutti i costi imporre una morale e un’etica al prossimo? Scegliete voi, la motivazione alla base di questa kafkiana situazione.

Il fatto è che in Parlamento, al Senato giace il testo di legge approvato alla Camera dei deputati in tema di morte volontaria medicalmente assistita, certo perfettibile e con punti discutibili. Ma è almeno una base su cui confrontarsi e ragionare. Fermo, paralizzato; cosa si aspetta a procedere? Perché è considerato un intoccabile tabù? Questa colpevole inerzia condanna tantissimi Fabio a una sofferenza inutile, senza scopo. Possibile che non ci si renda conto dell’urgenza, al pensiero di un familiare, un amico, un conoscente, nelle condizioni del sofferente Fabio? A cosa si deve questa dolosa inerzia, questa paura ad affrontare le fondamentali questioni della vita e della morte che piaccia o no, riguardano tutti? È in Costituzione il diritto di ciascuno di dire, in scienza e coscienza, “basta!”.

Nessuno, né i singoli né le Istituzioni hanno il diritto di aggiungere ai tanti Fabio che non hanno volto e voce, ulteriore sofferenza e tormento alle loro sofferenze e ai loro tormenti. Dignità e “pietas” sono diritti fondamentali che vanno tutelati e garantiti; e in Italia, purtroppo, ancora da conquistare.

*Presidente Istituto Luca Coscioni