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di Elio Palombi*

Il Riformista, 19 aprile 2024

La relazione annuale sull’attività del 2023 della Corte Costituzionale, svolta dal Presidente Augusto Barbera, in data 18 marzo 2024, alla presenza delle più alte cariche dello Stato, assume un’importanza rilevante particolarmente sul tema del fine vita, che viene affrontato, da esperto costituzionalista, con la piena consapevolezza delle complesse problematiche sottostanti. Purtroppo, di fronte alla pressante esigenza di rispondere normativamente all’avanzare di nuove istanze sul problema del fine vita, si assiste alla latitanza del potere legislativo, cui spetterebbe il compito di agire per risolvere un problema estremamente delicato, che attiene al rispetto della dignità della persona umana.

La Corte Costituzionale, già in relazione al caso Cappato, che accompagnò in Svizzera Dj Fabo, che aveva deciso di porre fine alla propria esistenza, avendo individuato una circoscritta area di non conformità costituzionale dell’art. 580 c.p., che prevede il reato di aiuto al suicidio, in relazione ai principi di cui agli artt. 2, 13 e 32 Cost., con ordinanza n. 207 del 2018 decise di fare ricorso a una pronuncia interlocutoria, sospendendo il giudizio in corso e sollecitando il Parlamento a intervenire prontamente. Veniva, pertanto, fissata una nuova discussione delle questioni di legittimità costituzionale all’udienza del 24 settembre 2019, in esito alla quale, nelle speranze della Corte, sarebbe stata valutata l’eventuale sopravvenienza di una legge che avrebbe dovuto regolare la materia in conformità alle segnalate esigenze di tutela.

Le aspettative della Corte, purtroppo, sono state vane, e, pertanto, di fronte a un Parlamento inadempiente, l’urgenza del problema la ha obbligata, ha osservato il Presidente Barbera, “a procedere con un’autonoma soluzione inevitabile in forza dell’imperativo d’osservare la Costituzione”. La Corte, pur consapevole che incombe sul Parlamento il dovere di normare sulla delicata materia, ha ritenuto di non poter ulteriormente esimersi dall’intervenire, in guisa da rimuovere il vulnus costituzionale riscontrato. Con sentenza n. 242 del 2019 la Corte, quindi, individuava un’area di non conformità costituzionale dell’art. 580 c.p., in relazione ai principi di cui agli artt. 2, 13 e 32 Cost., in relazione a quei casi in cui l’aspirante suicida si identifichi in una persona (a) affetta da una patologia irreversibile e (b) fonte di sofferenze fisiche e psicologiche, che trova assolutamente intollerabili, la quale sia (c) tenuta in vita a mezzo di trattamenti di sostegno vitale, ma resti (d) capace di prendere decisioni libere e consapevoli.

Nel caso in cui i vuoti di disciplina rischino di risolversi in una menomata protezione di diritti fondamentali della persona, osservava la Corte, questa “può e deve farsi carico dell’esigenza di evitarli, non limitandosi a un annullamento ‘secco’ della norma incostituzionale, ma ricavando dalle coordinate del sistema vigente i criteri di riempimento costituzionalmente necessari, fin tanto che sulla materia non intervenga il Parlamento”.

Entro lo specifico ambito del caso in esame, osservava la Corte, “il divieto assoluto di aiuto al suicidio finisce, quindi, per limitare la libertà di autodeterminazione del malato nella scelta delle terapie, comprese quelle, finalizzate a liberarlo dalle sofferenze, scaturenti dagli artt. 2, 13 e 32, secondo comma, della Costituzione”. A ben vedere la Corte, nel vaglio di costituzionalità della norma, ha analizzato il caso entro i limiti caratterizzanti il fatto all’esame del giudice rimettente, che non prevedeva affatto una condotta attiva consistente nella somministrazione di un farmaco atto a provocare la morte, bensì quella meramente attuativa della altrui decisione di porre fine alla propria esistenza, essendosi l’imputato limitato ad assecondare la volontà della persona da aiutare, accompagnandola in auto in Svizzera. Nel caso di specie, l’imputato non era certo animato dall’intento di collaborare attivamente con l’aspirante suicida, aiutandolo nel suo proposito di por fine alla sua vita, ma intervenne soltanto in soccorso di chi, per sottrarsi a una vita di immani patimenti, era ben determinato nella sua decisione. Quando un soggetto malato terminale, nella impossibilità materiale di realizzare da solo, perché paralizzato, la sua determinata volontà di por fine alle sue sofferenze, il solo trasporto in auto in un luogo dove è possibile concretizzare questa finalità, lungi dal rappresentare un’offesa al bene vita, acquista il significato di atto di umana solidarietà verso chi vive momenti tragici di vita invivibile.

Andando, quindi, ben al di là del caso oggetto di esame da parte del giudice rimettente, la Corte, avverte, in ogni caso, l’urgenza di provvedere, constatando che la indiscriminata repressione penale dell’aiuto al suicidio, prefigurata dall’art. 580 c.p., entra in frizione con i precetti costituzionali evocati. Ha, pertanto, dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 580 c.p. nella parte in cui non esclude la punibilità di chi, con le modalità previste dagli artt. 1 e 2 della legge 22 dicembre 2017 n. 219, agevola l’esecuzione del proposito di suicidio, autonomamente e liberamente formatosi, di persona che si trovi nelle condizioni sopra descritte.

Di fronte alla necessità di risolvere un problema estremamente attuale, la Corte, consapevole di aver aperto la strada all’introduzione del suicidio assistito, attraverso una condotta attiva di somministrazione di un farmaco idoneo a cagionare la morte della persona, auspicava un pronto intervento del legislatore nella delicata materia che tanti dibattiti suscita nella società.

In ogni caso, al fine di evitare pericoli di abusi per la vita di persone in situazioni di vulnerabilità, la Corte, consapevole della responsabilità che si era assunta, avvertiva l’esigenza di descrivere analiticamente le modalità di verifica medica della sussistenza dei presupposti in presenza dei quali una persona possa richiedere l’aiuto al suicidio. Tutte le verifiche sulle “condizioni richieste” e “sulle modalità di esecuzione” dovranno essere fatte da una struttura del Servizio sanitario pubblico, e dopo aver raccolto il parere del Comitato etico territorialmente competente. Il Presidente Barbera, nella sua relazione, si rammarica per il fatto che le Camere non siano intervenute per risolvere il drammatico problema del fine vita, rinunciando a una prerogativa che ad esse compete e obbligando la Corte a procedere con una propria e autonoma soluzione, “inevitabile in forza dell’imperativo di osservare la Costituzione”.

Ma vi è di più, perché di fronte al perdurante vuoto legislativo nazionale non solo occorre registrare la presenza di suicidi assistiti di cittadini italiani che si compiono all’estero, in particolare in Svizzera, con l’ausilio di organizzazioni dedicate, ma principalmente il fatto che sulla materia hanno iniziato a legiferare le Regioni, con il concreto rischio che una materia così importante e delicata finisce per essere strumentalizzata dalla politica. Senza contare, poi, la disapplicazione immediata, da parte dei magistrati ordinari, delle norme che essi ritengono in contrasto con la Costituzione. In questi casi i giudici ordinari, anziché sollevare la questione di costituzionalità, emanano una decisione costituzionalmente conforme, che finisce per disapplicare le disposizioni legislative. Ci sono stati, e continuano ad esserci, numerosi ricorsi ai Tribunali per rivendicare il diritto a morire, con sentenze tutt’altro che univoche.

È compito della Consulta custodire la Costituzione, mentre con queste iniziative, nella perdurante latitanza della politica, si crea, come sottolineato dal Presidente Barbera, “una fragile Costituzione dei custodi”. Il Parlamento, pertanto, non deve più attendere, impegnandosi a regolare con legge il suicidio assistito, prevedendo, tra l’altro, strutture sanitarie adeguate e organizzate per poter seguire medicalmente e psicologicamente colui che decide di porre fine anticipatamente alla sua vita. Nell’affrontare il tema del fine vita, che impegna profondamente le nostre coscienze, il legislatore deve mettere da parte le contrapposizioni ideologiche tra maggioranza e opposizione, puntando fondamentalmente su scelte, condivise sul piano etico, relative al rispetto della dignità della persona.

*Professore e avvocato