di Grazia Longo
La Stampa, 26 agosto 2024
Il 31enne Giacomo Passeri era stato arrestato un anno fa in vacanza e dovrà scontare 25 anni per traffico di droga: “La polizia locale lo ha incastrato, poi lui ha confessato per paura”. “Finora dopo l’interesse dei giornali alla condanna di mio fratello, l’unico risultato che abbiamo ottenuto dallo Stato è una vaga telefonata da parte dell’ambasciata italiana al Cairo. Nulla di più. Speriamo che si muova qualcosa al più presto”. Antonio Marco Passeri, fratello di Luigi Giacomo Passeri, pescarese di 31 anni, arrestato un anno fa al Cairo dov’era in vacanza e condannato a 25 anni il 19 agosto scorso per traffico di droga, non nasconde la sua amarezza per quella che lui definisce “la latitanza delle istituzioni”.
Che cosa le hanno comunicato dalla nostra ambasciata al Cairo?
“Innanzitutto hanno precisato che la condanna non è all’ergastolo com’era trapelato all’inizio, ma a 25 anni. Poi mi hanno detto che seguiranno il caso di Giacomo e che se vogliamo ci possono aiutare a trovare un nuovo avvocato. Ma il guaio è che quello che ci avevano proposto loro nei mesi scorsi costava 75 mila dollari. Per fortuna ne abbiamo trovato uno, tramite un amico della Sierra Leone dov’è nata nostra madre, che ci ha chiesto 30 mila dollari. Per pagarlo abbiamo dovuto fare una colletta con la quale abbiamo raccolto in tutto 40 mila dollari. Una parte del denaro serve per il traduttore. Ora il funzionario dell’ambasciata mi ha detto che magari riesce a farci ottenere uno sconto su un nuovo avvocato ma temo che il prezzo resti ancora troppo alto. E comunque abbiamo bisogno di altro”.
Passeri condannato all’ergastolo in Egitto per traffico di droga
grazia longo
E cioè?
“Mio fratello è innocente, non è uno spacciatore di droga. Purtroppo lo hanno incastrato, in ogni caso io e la mia famiglia, siamo quattro fratelli oltre a Giacomo, chiediamo che venga a scontare la pena in Italia”.
Il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha assicurato che si impegneranno in questa direzione.
“Me lo auguro, ma fino a questo momento non abbiamo ottenuto alcun aiuto concreto dall’ambasciata. A partire dal fatto che non siamo mai riusciti a parlare con mio fratello. Anche le lettere che mi manda, mi arrivano in maniera rocambolesca”.
In che senso?
“Dobbiamo tutto alla disponibilità dei parenti degli altri detenuti. Nel senso che mio fratello consegna la lettera a qualche parente di un suo compagno di cella che poi me la invia tramite whatsapp. Così mi è arrivata anche la sua ultima lettera, dopo la condanna, in cui mi ha scritto che si vuole ammazzare perché non può sopportare la vita nel carcere, in quindici in poco spazio in mezzo a sporcizia e insetti. Tanto più che è innocente”.
Mi scusi, eppure secondo il rapporto della polizia egiziana consegnato all’ambasciata suo fratello aveva nella camera d’hotel ingente quantità di stupefacenti.
“E chi ci dice che non l’abbia messa lì proprio la polizia egiziana? Hanno detto che nel frigorifero della camera dell’hotel era pieno anfetamine, cocaina, hashish e marijuana. Ma quelle sostanze non appartenevano a Giacomo, sono stati gli agenti egiziani a metterle nel frigo per intrappolarlo. Lui sarebbe dovuto ripartire il giorno dopo, perché mai avrebbe custodito tutta quella droga nel frigo? Lui aveva solo un po’ di marijuana per uso personale. E in ogni caso chiediamo che Giacomo venga trasferito in Italia”.
Perché suo fratello ha firmato una confessione?
“Per il terrore di essere ucciso. Lo hanno minacciato di morte “Se non firmi, torni in Italia in una bara” gli hanno detto. E lui ha firmato, ma è stato costretto. Lavorava a Londra come pizzaiolo e a volte come commesso in un negozio di abbigliamento. È un gran lavoratore, non uno spacciatore. Aveva sollecitato ripetutamente la presenza di un traduttore e di un avvocato ma la polizia non ha accolto le sue richieste. Ha firmato quel documento scritto in arabo per paura di morire”.