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di Alessandro Farruggia

Il Giorno, 13 agosto 2023

Mauro Palma: “I penitenziari ormai sono al collasso, bisogna trovare una soluzione. Sistema detentivo pensato per gli uomini, le donne soffrono: tra loro il tasso di suicidi è doppio”.

Professor Mauro Palma, una donna suicida e una addirittura morta di inedia. Nella sua pluriennale esperienza di garante nazionale dei detenuti già in proroga dopo il secondo mandato, che impressione si è fatto di questa ennesima tragedia estiva del carcere?

“Premetto che non conosco le carte. Questa nigeriana che si è lasciata morire, con un figlio di 4 anni fuori, aveva una condanna a 10 anni per tratta dei clandestini”.

Una maitresse?

“Forse. Anche se quelle che ho potuto incontrare ostentavano altra spavalderia. Quello che noi chiamiamo ‘tratta’, in Nigeria a volte è sfruttamento di persone povere che poi rimpatriate si portano anche lo stigma sociale. Questa donna era arrivata a Torino il 21 luglio. Comincia a non mangiare né bere, rifiutando ogni sostituzione. Il 4 agosto stramazza. La portano in ospedale e rifiuta il ricovero. Di segnali insomma ce n’erano. Un poco di attenzione in più ci poteva essere. Ma non essendoci esplicita protesta, non è stato attivato alcun protocollo”.

Come nel caso Cospito?

“La sua era manifestazione di protesta ed era attenzionato. La morte di questa donna è stata classificata come decesso per cause naturali, non suicidio o protesta. Mi pare che la dica tutto sulla scarsa sensibilità, la sottovalutazione, l’abbandono. Qui di naturale non c’è niente, a parte che tutti si muore perché si ferma il cuore. I garanti comunali e regionali non sono mai stati avvisati. Potevano dare un contributo, parlare con lei”.

Nelle stesse ore anche un suicidio...

“Anche qui: reati di strada, qualche furtarello, danneggiamento... Entrata con condanna a un anno, usciva anche prima: ma si è ammazzata dopo pochi giorni. Un mese e mezzo fa un’altra suicida. Significa che esiste una questione femminile. Essere donna in carcere, in un luogo pensato per i maschi con una logica maschile anche dove il personale è femminile, accentua la difficoltà”.

E anche il tasso di suicidi?

“A oggi sono 5 donne su 42. Ma le donne carcerate sono 2.496 su 57.832 persone”.

Quindi un tasso di suicidio più che doppio...

“Questo punto va evidenziato: le donne soffrono di più in carcere. Anche al 41 bis. Non perché il carcere è più punitivo, ma perché è un sistema non pensato per loro”.

Il tasso di suicidi balza alle cronache solo nella canicola estiva...

“Rispetto allo scorso anno, quando erano 48 invece che 42, siamo per fortuna leggermente più bassi. Ma siamo sempre su numeri alti. Mi sento obiettare che in Francia i suicidi sono molti di più, salvo che anche fuori ci si suicida di più. In Francia in carcere i suicidi sono 7 volte più che fuori, in Italia sono 16 volte più che fuori”.

Ovvero il carcere in Italia sarebbe oltre il doppio più alienante che in Francia. Perché?

“Perché da noi ultimamente non si investe più nulla sulla progettualità, ma sul non avere problemi: va tutto bene se non succede nulla. Fatte le giuste e dovute eccezioni, raramente un direttore dirà di avere problemi perché stanno facendo progetti. Questo credo sia la cosa più da cambiare: il carcere non può essere un luogo di attesa”.

In effetti un quarto dei detenuti è in attesa di giudizio...

“Ho qui i numeri. Sono definitivi 42.968 condannati. In attesa di primo giudizio sono 8.040. Altri 3.530 in attesa appello, ma con prima condanna. In 2.223 aspettano la Cassazione. E 688 sono in posizione mista senza nulla di definitivo. A oggi hanno avuto pene da 0 a un anno in 1.582. Persone senza domicilio, uno straccio avvocato né altro, che avrebbe loro consentito misure alternative”.

Un problema di tutela legale?

“Un problema di classe. Altri 2.855 hanno condanne tra uno e due anni. Fanno circa 4.400 persone cui si potrebbe dare una struttura diversa dal carcere. Dove i nostri 50mila posti sono teorici, visto che nei 189 istituti c’è sempre qualche guasto che in media taglia 3mila posti”.

Quindi che fare?

“Portar fuori dal carcere chi si può. Se si considera che da 2 a 3 anni ci sono altri 4.511 condannati, si arriva a circa 9mila persone per cui già l’ordinamento prevede pene alternative. Ma queste non esistono perché non si realizzano strumenti sociali di supporto. Sostengo da sempre di ragionare su strumenti alternativi al carcere: dei luoghi che siano di controllo, ma insieme di responsabilità territoriale e degli enti locali. Già portando fuori queste persone il carcere respira”.