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di Damiano Aliprandi

Il Dubbio, 6 agosto 2024

Nel rapporto si parla di 58 suicidi da inizio anno, altre fonti ne contano 62: l’ultimo sabato a Cremona. Il Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale, Felice Maurizio D’Ettore, ha recentemente lanciato un grido d’allarme sulla situazione delle carceri italiane. Il quadro che emerge dai dati aggiornati a fine luglio 2024 è profondamente preoccupante. Il sovraffollamento, che ha raggiunto livelli record in molte regioni, si rivela un fattore determinante nell’aumento degli eventi critici, in particolare dei suicidi.

Il dato più sconcertante è sicuramente quello relativo al sovraffollamento. Con un indice nazionale che supera il 130%, molte carceri si trovano a operare in condizioni di estrema criticità. Milano San Vittore, con un picco del 231,15%, rappresenta un caso emblematico. Questo sovraffollamento cronico ha gravi ripercussioni sulla qualità della vita dei detenuti, limitando la possibilità di accedere a programmi di rieducazione e di trattamento. A livello regionale, le differenze sono notevoli. Alcune regioni, come Puglia, Basilicata, Lombardia, Veneto e Lazio, mostrano indici di sovraffollamento particolarmente preoccupanti. D’altra parte, solo poche regioni si collocano al di sotto della soglia regolamentare, tra cui Sardegna, Trentino Alto Adige e Valle d’Aosta.

Notevoli le differenze a livello locale: Puglia (165,37%), Basilicata (150,99%), Lombardia (151,50%), Veneto (145,54%) e Lazio (144,05%) mostrano, secondo il Garante nazionale, un “preoccupante indice di sovraffollamento”. Questa situazione critica, come sottolinea il Garante, deriva principalmente dalla notevole discrepanza tra la capienza regolamentare e i posti effettivamente disponibili. Di fronte a questo scenario, il Garante evidenzia la necessità di interventi legislativi mirati in materia di edilizia penitenziaria. Tuttavia, precisa che non è possibile considerare una soluzione semplicistica come la redistribuzione uniforme dei detenuti su tutto il territorio nazionale. Questa strategia si scontra con l’esigenza fondamentale di mantenere i detenuti vicini ai propri nuclei familiari, un aspetto cruciale per il loro benessere e il processo di riabilitazione. Il Garante fa notare che, sebbene alcune regioni come la Sardegna, il Trentino Alto Adige e la Valle d’Aosta presentino indici di affollamento inferiori, non è praticabile un trasferimento automatico dei detenuti in queste aree. Tale approccio, infatti, comprometterebbe il legame essenziale tra il detenuto e la propria famiglia, un elemento chiave nel percorso di reinserimento sociale.

Un altro aspetto rilevante riguarda la presenza di detenuti stranieri, che rappresentano una quota significativa e della popolazione carceraria. Attualmente, si contano 19.151 detenuti stranieri, pari al 31,33% del totale. Di questi, 2.787 provengono da paesi dell’Unione Europea, mentre 16.364 sono di origine extracomunitaria. Questa elevata percentuale di detenuti stranieri, secondo il Garante, offre un’opportunità per alleggerire la pressione sul sistema carcerario. La maggior parte di questi detenuti, infatti, è stata condannata per reati contro il patrimonio. Considerando questa caratteristica, il Garante suggerisce la possibilità di adottare misure alternative alla detenzione in carcere. In particolare, si propone un intervento legislativo mirato a individuare domicili idonei per concedere la detenzione domiciliare a questi detenuti. Attualmente, questa opzione esiste in teoria ma è difficilmente applicabile nella pratica. Il principale ostacolo è la mancanza di alloggi adeguati e sicuri che possano fungere da alternative al carcere. Implementare questa soluzione potrebbe avere un effetto significativo nel ridurre il sovraffollamento carcerario. Tuttavia, richiede un approccio legislativo innovativo e la creazione di infrastrutture adeguate per garantire che la detenzione domiciliare sia una misura efficace e sicura. Questo approccio non solo allevierebbe la pressione sulle strutture carcerarie, ma potrebbe anche favorire un percorso di reinserimento sociale più efficace per i detenuti stranieri.

Uno degli aspetti più drammatici della situazione carceraria italiana è l’aumento dei suicidi tra i detenuti. Dall’inizio dell’anno in corso, il numero di persone che hanno deciso di togliersi la vita all’interno delle strutture penitenziarie ha raggiunto livelli preoccupanti, superando significativamente le cifre registrate negli anni precedenti. Questo fenomeno drammatico non fa distinzioni di genere, nazionalità o età, colpendo trasversalmente la popolazione carceraria. Le statistiche rivelano un quadro desolante: dei 58 suicidi registrati finora (sebbene altre fonti suggeriscano un numero ancora più elevato, ovvero 62 suicidi con l’ultimo avvenuto sabato in una cella del carcere di Cremona), la stragrande maggioranza, 56, riguarda uomini, mentre solo 2 sono i casi che coinvolgono donne. La nazionalità delle vittime si divide quasi equamente tra italiani (32) e stranieri (26), con questi ultimi provenienti da ben 15 Paesi diversi, evidenziando la natura multiculturale della popolazione carceraria italiana.

L’analisi delle fasce d’età coinvolte in questi tragici eventi mostra una concentrazione significativa tra i giovani adulti e gli adulti di mezza età. In particolare, 27 persone appartenevano alla fascia 26- 39 anni, mentre 14 avevano un’età compresa tra i 40 e i 55 anni. Non mancano, tuttavia, casi che coinvolgono fasce d’età più giovani (7 persone tra i 18 e i 25 anni) e più anziane (9 persone tra i 56 e i 69 anni, e un caso di un ultrasettantenne). L’età media di coloro che hanno scelto di porre fine alla propria vita in carcere si attesta intorno ai 40 anni, un dato che fa riflettere sulla perdita di vite nel pieno della maturità.

La posizione giuridica dei detenuti che hanno compiuto questo gesto estremo offre ulteriori spunti di riflessione. Il 39,66% (23 persone) era stato condannato in via definitiva, mentre un altro 39,66% era in attesa di primo giudizio. Sette detenuti si trovavano in una posizione ‘ mista con definitivo’, avendo almeno una condanna definitiva e altri procedimenti penali in corso. I restanti casi riguardavano ricorrenti, appellanti e un internato provvisorio.

Per quanto concerne i reati contestati o per i quali erano stati condannati, emerge una prevalenza di crimini contro la persona (31 casi, pari al 53,45%). Tra questi, spiccano 13 casi di omicidio (tentato o consumato), 8 di maltrattamenti in famiglia e 4 di violenza sessuale. Seguono i reati contro il patrimonio (18 casi) e quelli legati agli stupefacenti. Un aspetto particolarmente allarmante riguarda il momento in cui avvengono questi suicidi. Più della metà (30 persone, pari al 51,8%) ha compiuto il gesto estremo nei primi sei mesi di detenzione. Di questi, 7 lo hanno fatto entro i primi 15 giorni, e addirittura 3 nei primi 5 giorni dall’ingresso in carcere. Questi dati evidenziano una grave difficoltà di adattamento al contesto carcerario e un profondo disagio psicologico che si manifesta fin dai primissimi giorni di reclusione.

Il Garante nazionale D’Ettore ha sottolineato come l’aumento del sovraffollamento nelle carceri possa essere correlato a un incremento degli eventi critici all’interno delle strutture. Negli ultimi anni, infatti, si è registrato un aumento significativo di episodi quali aggressioni, atti coercitivi, autolesionismo e manifestazioni di protesta, che contribuiscono a creare un ambiente sempre più teso e difficile da gestire. Questa situazione drammatica pone l’accento sulla necessità urgente di interventi strutturali nel sistema carcerario italiano. È evidente che le attuali condizioni di detenzione, caratterizzate da sovraffollamento e carenze nei servizi di supporto psicologico, non sono in grado di garantire il benessere e la sicurezza dei detenuti, soprattutto nei momenti più critici come l’ingresso in carcere. Il decreto carceri licenziato dal Senato, secondo l’opposizione, i garanti territoriali rappresentati da Samuele Ciambriello e le associazioni come Antigone, non aiuta.