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di Leonardo Martinelli

La Repubblica, 7 gennaio 2022

Durante l’Hirak, la protesta contro il regime scoppiata nel 2019, Drareni è stato in carcere e poi rilasciato. Rimasto ad Algeri, ora si batte per la libertà di espressione.

Quando Khaled Drareni, 42 anni, il suo giovane amico e collega, uscì dal carcere, dopo poco più di un anno, ad accoglierlo lì fuori c’era pure lui, Ihsane El Kadi. Era il 19 febbraio 2021: ottenere la liberazione di Khaled fu una lunga strada e impervia. Ebbene, oggi è Ihsane, altro paladino della libertà d’espressione in Algeria, a essere finito dietro le sbarre. Drareni, che durante l’Hirak, la protesta contro il regime scoppiata nel 2019, l’aveva seguita per TV5 Monde, canale pubblico francese, e che a lungo ha pure lavorato per Radio Maghreb, uno dei media di El Kadi, è rimasto ad Algeri, dove oggi è il rappresentante di Reporters sans frontières (Rsf), per tutta l’Africa del Nord. Tocca a lui adesso battersi per El Kadi.

Quando lei fu incarcerato, si organizzò una grossa campagna a suo favore, anche all’estero, soprattutto a Parigi. Sarà così anche per Ihsane?

È troppo presto per dirlo. Sta di fatto, però, che l’Algeria, dall’inizio della guerra in Ucraina, gioca un ruolo estremamente importante sulla scena internazionale, grazie al gas. Oggi la voce del Governo e del presidente è ascoltata molto di più fuori dai confini nazionali. Questo può compromettere l’impatto del lavoro degli organismi internazionali a favore di El Kadi e della sua scarcerazione.

Chi è Ihsane El Kadi?

Ha oltre 35 anni di esperienza. Ha lavorato in media diversi, prima pubblici, poi privati. Era già stato messo in carcere nel 1981, per nove mesi, quando faceva parte del movimento studentesco giovanile. È oggi un giornalista molto rispettato in Algeria, per la sua pertinenza, l’indipendenza e il senso critico.

Ha fondato e dirige Radio Maghreb e il sito Maghreb Emergent, ora chiusi...

Erano davvero indipendenti: davano la parola al Governo, all’opposizione, a tutti. Sono tra le ultime voci libere in Algeria, accanto ad altri media digitali, che continuano a lavorare, ma con difficoltà.

Ha notizie di Ihsane?

Sì, fortunatamente sta bene. Gli avvocati hanno potuto incontrarlo nei giorni scorsi alla prigione di El Harrach, ad Algeri. Lui è una persona coraggiosa, tiene duro.

Di cosa l’accusano?

Per il momento non abbiamo notizie esatte. Ma un comunicato della procura ha tirato in ballo presunti finanziamenti stranieri e infrazioni alle regole sulle donazioni estere. I suoi media avevano ricevuto aiuti dall’Unione europea. Ma si tratta probabilmente di pretesti: sono i suoi articoli all’origine dell’arresto. Nel giugno scorso era già stato condannato a sei mesi di carcere per un suo pezzo.

El Kadi si trova in “detenzione preventiva”. Quanto può durare?

Quattro mesi, ma può essere rinnovata una volta. Insomma, sono otto mesi in tutto. Ora, comunque, stiamo aspettando l’inizio della fase istruttoria. Quando sarà finita, verrà fissata la data del processo.

Il caso del suo collega è isolato?

No, altri giornalisti sono stati arrestati in Algeria, pure il sottoscritto. Lo stesso nel vicino Marocco.

Lì com’è la situazione?

Preoccupante come da noi. In Marocco ci sono oggi tre giornalisti in carcere: Taoufik Bouachrine, Omar Radi e Soulimane Raissouni. Sono accusati di stupro, ma sono falsità. Sappiamo bene che le vere ragioni di queste incarcerazioni sono il loro lavoro giornalistico e l’indipendenza. Praticamente è la stessa cosa in Marocco e in Algeria, ma lì, quando si vuole mettere in prigione un giornalista, lo si accusa di violenze sessuali e da noi di attentato all’unità nazionale e alla sicurezza dello Stato.

Tanti giornalisti algerini fuggono all’estero. Lei se ne andrà?

Non credo che lascerò il mio Paese. Il mio posto è qui, con i miei connazionali, la mia famiglia e i miei amici. Sono più utile qui che altrove. Capisco e rispetto la scelta di chi se ne va, è comprensibile e legittima. Ma non è la mia.